Mia mamma era diventata sempre più piccola e grama; pareva ogni giorno di più rannicchiarsi curva dentro quello scialle scuro, per non ingombrare e disturbare chi le stava attorno. Il suo visetto, tondo e pallido, che a volte, per un improvviso cumulo di amore, mandava sprizzi di colore alle gote, mostrava una particolare rete di catenelle. I capelli, bianchissimi, si erano fatti così rari, che appena le riusciva di stringerli sulla nuca in una minuscola crocchia spinosa di forcelle, li copriva con un fazzoletto di lana sul quale stendeva un panno di ciniglia annodato sotto il mento; ciò le ovattava gli orecchi e acuiva la sua sordità. Quel suo stato però non le impediva di separarsi dal mondo circostante, non la rendeva estranea alla vita, anzi ella la viveva con curiosità, con passione. Non per sé, ma per me, suo figlio. Borbottava e canticchiava antiche storielle e filastrocche della sua infanzia; ora toccava a lei essere la mia bambina, come un tempo il bambino lo ero stato io, e lei una donna. Quel tunnel in cui era entrata non aveva frantumato la visione dell'Orco salvato dall'Amore, di più le aveva fatto rivedere i piccoli gnomi, fedeli amici della sua e della mia infanzia. Io ne avevo visti parecchi, il primo mi aveva vegliato accanto alla culla, un altro aveva abitato per lungo tempo nella stalla delle mucche, il più piccolo mi aveva aiutato a mangiare i dolci sotto l'albero di Natale. Povera mamma! Mi ripeteva che sono molti i bambini, che un giorno diventeranno grandi, a non aver mai visto uno di questi ometti, alti un palmo della mano, colle scarpine di legno, le lunghe barbe grigie e i buffi berretti rossi. Quanta pietà provava per loro! “Sembrano dei piccoli vecchi,” continuava a dirmi “diventeranno uomini, magari ricchi, ma senza pace nell'anima, senza tenerezza nei cuori, senza i propri sogni, senza volontà di vivere, senza il coraggio di morire. Gli uomini perdono troppo tempo ad ascoltare e a leggere i pensieri degli altri. Sarebbe molto meglio che impiegassero il loro tempo ad ascoltare i propri. La Sapienza, caro il mio bambino, possiamo apprenderla da altri, La Bellezza vederla intorno a noi, l'Amore incontrarlo, la Saggezza invece dobbiamo ricercarla in noi stessi. La sorgente della fonte della saggezza sgorga nel proprio suolo, fra i profondi abissi dei nostri solitari pensieri e sogni.”
Ora io non so, cara la mia mammina – bambina, perché io ti ricordi con una faccina d'Arcangelo, il tuo sorriso da Cherubino, i tuoi occhi limpidi nella tua rosea faccina, e quell'amore selvaggio con il quale mi offrivi i tuoi balocchi che continuo a tenere stretti a me. Io continuo a volare su quel splendido candore.
Ora io non so, cara la mia mammina – bambina, perché io ti ricordi con una faccina d'Arcangelo, il tuo sorriso da Cherubino, i tuoi occhi limpidi nella tua rosea faccina, e quell'amore selvaggio con il quale mi offrivi i tuoi balocchi che continuo a tenere stretti a me. Io continuo a volare su quel splendido candore.
Grazie mamma.
Meraviglioso atto d'amore. Mi hai commosso
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