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Calliope

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Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

giovedì 28 gennaio 2016

Ali di cielo

Prefazione di Dante Maffia

Annamaria Vezio ha un’attività febbrile che svaria in mille direzioni. Ma ogni cosa a cui si dedica sente immediatamente il calore della sua anima, il pulsare frenetico della sua inquietudine tesa a risolvere concretamente alcune situazioni umane e sociali che altrimenti resterebbero dimenticate. Ma non è il caso di addentrarmi in dettagli a questo proposito, mi serviva soltanto per introdurre una persona che insieme alla scrittura ha dedicato il suo tempo e il suo spazio a qualcosa di veramente necessario. Perché ciò potesse compierlo con abnegazione e disinteresse lo si deve anche al suo animo di poeta, al sapersi guardare attorno e cogliere quei particolari che poi le lievitano dentro e le suggeriscono le parole che qui leggiamo in “Ali di cielo”.
Già il titolo ci suggerisce la propensione di Annamaria al lirismo puro, al canto, alla dimensione che scarta la pesantezza realistica (senza mai dimenticarla) e si assesta su parametri che hanno i precedenti nelle opere dei poeti soprattutto dell’Ottocento, quelli che riuscirono a raccontare gli scandagli e le accensioni del cuore con note alte e musicali, con delicatezza e precisione.
Leggendo Ali di cielo sentiamo subito la voce di una donna che non si è arresa a niente e a nessuno, che ha saputo fare tesoro delle sue esperienze e trarne la linfa giusta per distillare i versi qui presentati.
Annamaria non si è preoccupata di schierarsi con questo o quel gruppo che fa moda, di corteggiare il potere delle case editrici, o di legarsi con questa fazione o quest’altra che fa capo ai fautori del nonsense o a quelli del neoempirismo o del neo strabismo, ha scelto di condividere con il lettore ciò che gli eventi le hanno lasciato in eredità, gli strascichi di ferite e di dolore che anche quando paiono essersi rimarginati all’improvviso si riaprono e  pretendono ascolto.
Tuttavia non si lascia andare alla deriva, non cade mai nel posso del buio o della disperazione; reagisce e impone la sua vitalità, trascina e “di vita” si “colora”, come dice un suo bellissimo verso.
E’ consapevole della necessità dell’ “inganno del vento” e forse per restare coi piedi per terra, anche nel “trance” metafisico che la coinvolge, annota giorno e orario delle sue scritture, molto ravvicinate, tintinnanti come campanellini che suonano a festa, rapidi come appunti di un diario.
Si badi però che c’è sempre il Tempo, con la maiuscola, che impone il suo passo, che allarga le sue maglie e fagocita, e c’è il Cosmo, coi suoi misteri, e dunque perfino l’aurorale bozzetto si trasforma in dato ineffabile.
Ogni tanto troviamo, sia nei componimenti brevi che hanno odore di oriente, e sia in quelli più ariosi, delle parole tronche e delle rime, memore, credo, della lezione di Umberto Saba ch’era solito ripetere: “Amai la rima fiore amore la più antica difficile del mondo”.
Già, perché non inganni l’apparenza, anche là dove Annamaria sembra voler essere giocosa e sbarazzina, mette il seme del suo pensiero e l’impegno caratterizzato fortemente dal suo lavoro.
Un libro, dunque, che si fa leggere facilmente, ma che dietro le parole nasconde segni e sensi da scoprire, fluidi di una ricerca che non ha mai avuto tregua e che, ne sono certo, continuerà all’infinito, perché la poetessa ha fame di vita, sempre, anche quando ci sono problemi pesanti, anche dentro la dimensione del dolore, anche dinanzi alle montagne che vorrebbero spingerla nel burrone.            Dante Maffia

Introduzione

Mi voltai, quell’attimo giusto per vedere sfuggente una verità macchiata di ombre. Un attimo: il tempo che l’ombra seguisse l’altra ombra. Un attimo filante in cui lo spazio fra ombra e ombra, lasciò nudo lo specchio di una realtà: non io, non io son l’immagine offuscata, non son io in quello sguardo inebetito. Non son io quella donna fasciata della figura di me; quell’attimo filante fra l’ombra e l’altra, quel riflesso di specchio, ha afferrato me: me oltre l’immagine! E mi guardo ora distesa su un tavolo da obitorio mentre bisturi scuoiano con parsimonia la pelle che veste questo stupido corpo. Questo stupido involucro che vorrebbe racchiudere una essenza, una persona. Ma che persona sarei io, chi mai sarei io se conoscessi soltanto quella icona riflessa dalla mente dell’altro?
Eccola la foga di scrivere, di spalmare su carta per poi vederla, la figura animata che ho afferrato in quello sprazzo di tempo che tra ombra e ombra, è sfuggita alle macchie, che ho ghermita e fatta mia. Mia, a dispetto di ogni giorno passato a ingrigire sul corpo. Mia, a illuminare lo specchio di attimi filanti in cui lo spazio, tra ombra e ombra, lascia nuda e pura la Vita, l’Essenza, il Cielo. La me oltre l’immagine: Annamaria



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