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Calliope

Calliope
Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

mercoledì 26 aprile 2017

"I sentieri dell'alba" di Giampiero Donnici


Arabeschi indistinti
di luce
invocano tenue sentire...
oscura prigione
inondata di fuochi,
freddo chiarore
da morbidi toni
in stupore di sonni
morenti.
Disegno che dona
all'azzurro
la nuda follìa
di un artista distante,
come un bimbo
che getta i colori
su tavolozze
di sogni rubati.
Quasi eterea
si desta una musa
nella luce
di un giorno che vive
nel mio canto
alla notte che muore,
seguendo
i sentieri dell'alba
a carpire
ora nuovi colori.


All rights reserved - © copyright text- and image Giampiero Donnici -Autore del Giorno Anima di Vento Aprile 2017-

"In questo mio giardino" di Loretta Zoppi


In questo mio giardino disastrato
non v’è risparmio d’ogni taglio alcuno
e come un giardiniere improvvisato
completa il freddo inverno, inopportuno,
la triste opera di accatastamento:
i tuoi vasi in un angolo in penombra
gli arredi in pila che par la vita sgombra
ma come in attesa del prossimo tormento.

E vivo come dentro al suo interno.
Mi scalda a malapena il tuo ricordo
che il ghiaccio un poco sbrina e in cuore alterno
la rimembranza tua a un dolore sordo.
Mi manchi, come manca a questa neve
la tua impronta, il tuo camino acceso,
il tuo accordo.

 
All rights reserved - © copyright text Loretta Zoppi "Autore del Giorno Anima di Vento Aprile 2017"

image by annamariavezio

"Empatia" di Mariagrazia Cali


Accentua il mio sentir ,strana compagna
Eppur le ho sempre chiesto
d'allontanarsi ,che mi sfianca!
È come un fiume in piena
Mi trascina
finànche a sentir
delle pietre
il dolore!
Lei m'ha risposto allor
ch'io non vedrei
le mille sfaccettature
che ha il colore
Il gorgogliar dell'acqua
se mi sfiora e udir
nei suoni della vita,
le melodie
che fan vibrare il cuore!
Vedrei solo il bianco e nero
delle cose
E pur di non pungermi
non coglierei
neanche l'odore delle rose.
Chè la sensibilità non fa rumore
Ma dentro come piuma, ti cammina
pungolandoti nel cuore!
 
All rights reserved - © copyright text-Mariagrazia Cali "Autore del Giorno Anima di Vento Aprile 2017" 
image Web

"Anime di carta" di Rosella Lubrano

Ho raccolto quattro stracci,
pezzi di vita abbandonati
in un vicolo buio,
gocce di solitudine
nel mio sconfitto,
ho lasciato troppi segni
sulla pelle già strappata,
viaggiando controvento
su vele squarciate
dall' incomprensione,
ho costruito piramidi di illusioni
sull' asfalto del cuore
tra i se e i ma
di un cuore annichilito.

A volte è difficile non morire!
Ora sono qui,
debole statua di cera,
la pioggia schiaffeggia i miei pensieri,
i miei ricordi, le mie illusioni,
ormai il freddo mi brucia dentro
sotto un cielo spietato
nell' assordante silenzio dell'anima.
 
All rights reserved - © copyright text- Rosella Lubrano image Web
-Autore del Giorno Anima di Vento 2017- 


Mimmo in arte Antonio de Curtis Sogno di una notte di mezza estate


La prima luce che mi carezzava il viso o lo sciabordio dell’acqua sotto il fondo della barca?
La luce che filtrava dalla fessura tra i due lembi della tenda!
Mi ritrovai nel mio letto, pieno!
Nel pieno di un amore passionale: turgido e madido.
Per un attimo restai interdetto; poi realizzai …
Ricostruii a ritroso quel lungo momento.
Improvvisamente mi ero trovato sulla soglia nella penombra della porta appena socchiusa … avevo appena aperto ancora un po’ il battente … nel chiarore incerto di non so quale abat-jour dormivi, il sorriso sulle labbra, la mano morbida sul cuscino … quasi un faro sembrava illuminare quella parte di stanza, solo quella parte … fui tentato di oltrepassarla quella soglia … ma … ma tu apristi gli occhi e mi guardasti … mi guardasti … mi ritrovai con la mia mano nella tua … a passeggiare tra i tuoi fiori … nella tua camicia bianca sembravi la luce dei tuoi fiori.
E ridevi e correvi e mi … giocavi … Io ti seguivo “come un bambino segue un aquilone” … mi tenevi per mano eppure mi sembravi lontana lontana … finché me la lasciasti e prendesti a correre, correre …
“Vieni! - mi dicevi, senza parlare - Vieni!” … ed io sentivo il peso dei miei anni. Ma improvvisamente mi nacque non so quale forza, quali nuove o vecchie energie.
E t’inseguii e ti raggiunsi e ti presi io per mano.
E correvamo insieme su prati verdi verdi appena umidi di fresca rugiada.
Era notte; ma forse era la luce della luna che tingeva di luce la nostra corsa. Tu ridevi, sorridevi nella tua svolazzante vestaglia.
“Spegni la luce” pensai.
Avrei potuto anche spegnerla la luna ma non il tuo sorriso.
Correvamo leggeri, eterei; attraverso il bosco che sembrava una coltre che ci copriva.
E tu ridevi e stringevi la mia mano.
Non so se eri tu che andavi ed io che ti seguivo o io che andavo e tu che mi seguivi: andavamo; chissà dove.
Sentivo la dolcezza della tua mano che stringeva la mia; le strette che a volte diventavano più strette come a saggiare che ci fossi ancora; e tu come me.
E sbucammo su una spiaggia lunga lunga lunga.
Ti fermasti un attimo al margine; sedesti su una pietra a guardare lontano all’orizzonte come se … non lo so … poi ti alzasti mi afferrasti la mano e corremmo corremmo corremmo.
Finchè cademmo sfiniti sulla battigia.
Il tuo corpo ansante ed il mio; i tuoi riccioli nella sabbia e la tua bocca.
Ti baciai dolcemente. Dolcemente mi baciasti.
Mi offrii ti offristi.
Risento la carezza delle tue gambe avvinghiate al mio corpo ed il calore caldo di te.
Te …
Nudi e felici immemori e persi.
Mi carezzavi dolcemente; dolcemente baciavo il tuo corpo tenero.
E tu sorridevi d’un sorriso senza pensieri.
E poi restammo lì a guardare un cielo che forse non c’era … mano nella mano.
Quanto tempo restammo così, a parlaci in silenzio vicini nel cielo ch’era tutto nostro?
Ti avvicinasti e poggiasti la testa sul mio petto; sentivo il battito del mio cuore attraverso il tuo; ti carezzavo il viso ed i capelli; sentivo il tuo seno caldo sul mio fianco; sentivo il tuo corpo fremere … e sentivo.
Sentii il tuo bacio improvviso, violento.
Sentii che mi rivoltavi, m’infilavi in te e il tuo abbraccio che pareva stritolarmi e la tua passione alla quale mi abbandonai.
Una furia da lontani millenni: mi mordevi ti mordevo; ti stringevo e mi stringevi come a volerci spremere l’essenza del nostro essere donna e uomo.
E sapevi d’amore e di desiderio represso, nascosto, liberato.
Il canto dei nostri corpi stretti avvinghiati, aggrappati l’uno all’altro. Lo sentiva il mio corpo lo sentiva il tuo corpo … due corpi senz’anima all’albore dell’uomo, una strepitosa sublime sofferenza, l’attesa. L’attesa infinita, infinita … infinita …
Sfiniti e felici; grondanti l’uno dell’altra; tu e la sabbia viva vera che s’attaccava alla schiena. Pieni e vuoti. Nei sussulti dei nostri corpi che pian piano si ritrovavano.
All’improvviso ti alzasti e corresti, corresti verso il mare, a mare; e corsi a mare da te; tra spruzzi e spinte e giochi d’acqua e di mani godemmo ancora dei nostri corpi sorridenti.
Tu.
E mi sembrò di vedere nel riflesso dei tuoi occhi l’uomo che ero stato; e mi sembrò di vedere coi miei occhi una donna felice.
Non ci eravamo detto una parola, pensai; e mi accorsi che sarebbe stata di troppo: due giovani nella notte lungo la spiaggia, nudi come cioccolatini senza carta – così pensai – cioccolatini senza carta.
C’era una barca ricoverata lì e bastò che ci guardassimo; rivoltammo e spingemmo, spingemmo finché non la mettemmo a mare.
Ci allontanammo un poco; e poi ancora un poco; ed ancora un poco finché non fummo io e te e il mare e il cielo.
Stesi sul fondo duro della barca c’immaginammo stelle tra le stelle, una stella doppia; l’onda calma del mare ci cullava come in una culla di bambino. Era come un sonno … un sogno … vero
Ti tirai vicina, più vicina ancora, ti sentii stupita e felice; e quando entrai in te dolcemente sentii il tenero abbraccio delle tue braccia; anche la bocca sapeva di dolcezza e tutto il corpo era tenerezza.
Lo sciabordio del mare sotto la barca sembrava cantarci canzoni d’amore … le vidi nei tuoi occhi lucenti, le sentii nelle tue parole mute: tu; ed io; tu ed io; cantava il mare, cantava.
E sentii sul viso una carezza di luce … e nelle orecchie lo sciabordio dell’acqua sotto la barca.

All rights reserved - © copyright text-Domenico Pagliara "Autore del Giorno -Anima di Vento 2017"
 immagine dal Web

sabato 22 aprile 2017

UN AMORE PROIBITO AL TEMPO DEL COLERA di Sergio Casagrande


Ci eravamo laureati in medicina cinque anni prima, poi lo avevo perso di vista. Lo avevo rivisto a Napoli, nel 1884, quando era scoppiato il colera. Era diventato assistente di un vecchio medico che prestava la sua opera nei conventi e congregazioni della città; poi, alla morte di questo, ne aveva presto il suo posto. Davide era una persona speciale, bello come un Apollo e di una sensibilità e gentilezza senza uguali. Mentre io ero rimasto scapolo, avevo avuto qualche avventura ma mai mi ero innamorato, il mio amico si era sposato con una certa Cristina, una ragazza dolcissima, dal cuore, e dai boccoli, d’oro, e gli occhi color del mare, che lo aspettava trepidante ogni giorno davanti alla finestra del loro nido. Non aveva che lui al mondo, lo aveva sposato contro la volontà dei suoi genitori; lui avrebbe voluto mandarla lontano da quei luoghi infetti, ma Cristina si era rifiutata di lasciarlo solo. In quei giorni Davide si stava occupando del convento delle monache di clausura. Mi disse di non temere il contagio perché si era messo sotto le ali rassicuranti della Madonna del Carmine, di cui portava appresso l’effige, mentre la moglie si era affidata a Santa Lucia, la protettrice degli occhi. Invidiavo la loro fede, la loro sicurezza nel divino. Perché Dio provocava tanta sofferenza, per poi dover essere pregato per debellarla? “Mi raccomando,” mi disse “se la Madonna decidesse altrimenti e dovesse succedermi qualcosa, portami subito al cimitero, non voglio che gli occhi che mi amano mi vedano in quelle condizioni. La morte per colera è così ripugnante! Io non temo la morte per me stesso, ma per mia moglie.” Lo rassicurai: La Madre di Dio lo avrebbe sicuramente protetto. Un giorno, mentre stavo osservando con cupidigia le gambe di Rosetta, che aveva sulle guance lo stesso colore delle pesche che sua madre vendeva al mercato, e mi era indifferente e quasi non udivo il lugubre rintocco delle campane, un ragazzo mi si avvicinò e mi porse un pezzetto di carta sul quale erano state scarabocchiate poche parole: “Venite”. Poco dopo mi fermavo davanti al cancello di ferro arrugginito del convento. Venne ad aprirmi una vecchia monaca, in parte rugginosa anche lei, che mi precedette attraverso il percorso del chiostro; agitava un campanello, che secondo le usanze avvertiva la presenza di un uomo e invitava le religiose di ritirarsi nelle loro celle. Camminammo per un lungo e oscuro corridoio deserto. Un’altra monaca alzò una lanterna davanti al mio viso e aprì una porta di una camera fiocamente illuminata. A terra, disteso sopra un materasso, giaceva il mio amico. Non lo riconobbi subito, un prete gli stava somministrando l’ultimo sacramento. Era già in stadium algidum, il corpo era freddo, il volto pallidissimo e sudato, ma dai suoi occhi, incavati nelle orbite, notai che era ancora cosciente. Lo guardai e un brivido mi scosse tutto il corpo. Non era Davide che vedevo, ma l’immonda morte. Il suo volto stravolto si contrasse in uno sforzo disperato per parlarmi. Dalle sue labbra tremanti uscì una specie di pigolio, ansimò, insistette con tutto se stesso: “Specchio”. Una monaca me lo pose e glielo tenni davanti ai suoi occhi semichiusi. Scosse la testa due tre volte, alzò la mano, indicandomi la strada che dovevo seguire. Furono i suoi ultimi segni di vita. La carretta per portare via le monache morte durante il giorno aspettava davanti al cancello e sapevo che toccava a me decidere se farlo portare via subito o aspettare il giorno seguente. Non dissi una parola e fu gettato assieme ad altre centinaia di cadaveri nella fossa comune del cimitero dei colerosi. Sostai davanti alla sua casa e vidi una bianca faccina di donna, una fanciulla, quasi. Era alla finestra. Quando mi vide barcollò: “Siete il medico forestiero, amico di Davide. Non è tornato. Sono stata alla finestra tutta la notte. Dove si trova? Portatemi da lui. Voglio vederlo!” La trattenni, le raccontai che il luogo era infetto e che doveva pensare al bimbo che portava in grembo. “Voglio andare da lui, subito” singhiozzò. “Aiutatemi, vi prego!” La trattenni ancora: “Non è possibile, non è più…” Si lanciò allora su di me come una belva ferita, tempestandomi di pugni: “Non avevate nessun diritto di farlo portar via finché non lo avessi visto!” gridò pazza di rabbia. “Era la luce dei miei occhi, ora la luce non la vedrò più. Siate maledetto! Santa Lucia accecatelo, come lui ha accecato me! Strappategli gli occhi, come vi sono stati strappati i vostri!” La mia bocca restò cucita, i miei occhi lacrimavano e parlavano per lei. “Colpisci, piccola, colpisci più forte,” pensai tra me “hai tutte le ragioni del mondo.”
La maledizione che mi era stata scagliata da quella fanciulla disperata non mi fece chiudere occhio per tutta la notte e rintronò contro di me. Ma il tempo della sofferenza e della pietà era solo all’inizio. Il padre confessore del convento in mattinata venne a trovarmi. Mi pregò di sostituire il defunto Davide. Quando entrai c’erano tre nuovi casi di colera. Le monache erano in stato di agitazione: alcune, colpite dal panico, correvano di qua e di là senza costrutto, altre, cantavano i salmi propiziatori nella Cappella. Le tre ammalate erano distese moribonde su materassi di paglia nelle loro rispettive celle. Una morì la notte stessa, le altre due al mattino. Mi fu affidata come aiutante una vecchia monaca di settant’anni, che però rese l’anima a Dio due giorni dopo. La sostituì una cinquantenne, che durò una settimana scarsa. Al mio fianco mi fu destinata una monaca giovanissima e incantevole dal volto angelico. Nonostante la drammatica situazione, il mio sangue giovane mi impedì di vedere in lei una sposa del Signore. Le feci alcune domande, quale era il suo nome, da dove proveniva, ma quella dolcissima creatura rispose solo a quelle pertinenti alla mansione affidatale. Quella sera la sognai. Sogno proibito, ma i sogni non conoscono regole. Era entrata nella mia stanza. Una mano venne a sfiorare i miei capelli. Balzai a ghermire quella mano delicata. La strinsi, la sentivo tra le mie calda e fremente, umile e inquieta, come una passera ghermita sull’uscio di una gabbia. Le sentivo quell’aspro odore di santità mischiato alla sanità incolta che le traspariva da tutti i pori del corpo, protetto solo dall’umile saio. L’alito caldo della sua bocca mi bruciava la palma, mi penetrava nelle vene, mi fluiva per il braccio a saturarmi tutto il mio essere come di un fuoco liquido. Poi, come una bolla di sapone, tutto svanì all’improvviso. Il colera invece, fatto reale, continuava a imperversare. Alla mattina chiesi un colloquio alla Badessa. Le dissi che tutto il convento era infetto, che le condizione sanitarie erano spaventose, che l’acqua nel pozzo era inquinata, che quel luogo doveva essere sgombrato al più presto o nessuna si sarebbe salvata. La vecchia Priora mi scrutò da cima a fondo con i suoi freddi occhi sporgenti e penetranti, severi come quelli di un giudice. Sarebbe stato difficile vedere nel suo sguardo, un barlume, seppur microscopico, di tenerezza e amore. Mi rispose che ciò era impossibile. Le regole dell’Ordine non lo consentivano. Nessuna monaca, una volta entrata nel convento, l’aveva mai lasciato da viva. Abbassai il capo e tornai sui miei passi. Non lasciai mai il convento per alcune indimenticabili settimane di terrore. Un pomeriggio mi ero preso un po’ di riposo ed ero seduto su una panca di marmo nel chiostro. Alla mie spalle qualche resto di statue antiche. Talvolta si materializzava per qualche minuto la mia giovane assistente. Diceva che era costretta a uscire per prendere una boccata d’aria fresca, altrimenti sarebbe svenuta per il fetore. Stavo per alzarmi, quando la vidi arrivare alle mie spalle con passo silenzioso, teneva in mano una tazza di tè. “Prendete” disse “vi farà bene”. Poi staccò da un cespuglio una rosa e me la porse. “Annusatela, riuscirà in parte a stemperare questo terribile odore”. Sorseggiai con voluta lentezza il liquido e a parer mio mi sembrava contenta che io ritardassi di consegnarle la tazza vuota. Le chiesi: “Sapete chi rappresenta questa piccola statua che sta alle mie spalle?” Mi guardò sorpresa e parve titubante: “Non saprei, penso a un piccolo angelo del Signore”. Sorrisi, m’incantava la sua dolce ingenuità. “No, non è un angelo del Signore. Questo Essere regnava sull’Olimpo già alcuni secoli fa e ora regna sul mondo! È Eros, il Dio immortale più grande di tutti: è il Dio dell’Amore!” Mentre pronunciavo queste sacrileghe parole, la campana della Cappella chiamava a raccolta le monache per le preghiere serali. Quella deliziosa creatura prese allora una seconda rosa rossa e me la donò insieme al suo primo soave sorriso, che appariva ora quello di una sirena. Cosa mi veniva in mente? Mi pareva che una domanda scintillasse nei suoi occhi: non mi sarebbe piaciuto di avere anche le sue labbra rosse? Che nuova paura mi faceva battere il cuore tanto tumultuosamente? La giovane monaca si fece il segno della Croce e abbandonò frettolosamente il giardino. Subito dopo una monaca arrivò davanti a me tutta trafelata per condurmi dalla Badessa: era svenuta nella Cappella; l’avevano appena portata nella sua cella. Quando entrai mi guardò con i suoi occhi agghiaccianti. Alzò la mano e le portarono il Crocifisso appeso alla parete. Poi ricevette l’Estrema Unzione. Rimase così per tutto il giorno con il Crocifisso sul petto, gli occhi chiusi e il Rosario nelle mani, mentre il suo corpo si raffreddava lentamente. Una volta mi parve di sentire il battito del cuore, poi non percepii più nulla. Osservai più volte quella severa e rigida faccia crudele: nemmeno la Morte, il Rosario e il Crocifisso erano riusciti ad addolcirla. Era un sollievo per me che i suoi occhi fossero chiusi per sempre: c’era qualcosa in essi che mi aveva spaventato a morte. Guardai la giovane monaca al mio fianco: “Non posso più restare qui,” le mormorai” questa notte non ho dormito e non sto troppo… bene…” Non ebbi il tempo di terminare la frase e lei non ebbe il tempo di tirarsi indietro, che le mie braccia l’avevano avvolta. Sentivo il battito tumultuoso del suo cuore come fosse stato il mio, forse era un unico cuore a battere. La baciai con impeto. “Pietà” sussurrò, indicandomi con lo sguardo il giaciglio. E fuggì dalla cella con un grido di terrore. Mi girai: gli occhi della Badessa erano ora spalancati e mi fissavano terrificanti e minacciosi. Mi chinai sopra di lei e mi parve di sentire un leggero fremito del cuore. Era morta o viva? Potevano vedere quei terribili occhi? Avevano visto? Non osavo guardarli, tirai il lenzuolo sopra il suo viso e corsi fuori cella e dal convento. Per non tornarci mai più.
 
All rights reserved - © copyright text Sergio Casagrande immagine dal Web
-"Autore del Giorno" di Anima di Vento- aprile 2017

venerdì 21 aprile 2017

"Solo ora" di Anna Maria Lombardi


Solo ora posso dire che è stato bello
lasciarsi cullare dalle spire dei venti,
salire fino a dove nascono le nuvole
e accorgermi che anch'esse
avevano la loro ragion d'essere.

Senza la neve e la pioggia
non ci sarebbero stati i verdi pascoli e le gardenie,
e neppure una farfalla colorata ad indicarmi
che la vita dura una manciata di secondi
e che la rinascita è dietro ogni angolo.
Senza le nuvole nel cielo
il mio cuore avrebbe viaggiato di meno
e la mia anima sarebbe rimasta ferma
là ad attendere il passaggio
del prossimo treno.
Anna Maria Lombardi "Autore del Giorno" di Anima di Vento 2017
18.4.2017 Tutti i diritti sull'intero testo sono riservati per legge all'autrice
reservedimage-annamariavezio

"Dedicata a un cuore d'oro" da Arturo Pucci a Annamaria Vezio

Arturo Pucci a Annamaria Vezio

Quanto è bello ad Aprile sognare,
Gli uccelli ascoltare col suo dolce cantare.
Osservare gli alberi intenti a fiorire,
Tra le meraviglie una donna ammirare.
A Aprile è molto bello sognare,
Il dolce giorno che lei mi ha fatto incontrare.
sempre serena, ma anche molto bella,
L'espressione splendente più di una stella.
Subito ho capito che era la speranza mia ,
Quando ho ammirato gli occhi di Annamaria.
A lei ad aprile piace stare tra la gente,
Si arrabbia quando qualcuno a lei mente.
Lei è tenera, intelligente, dolce e vera,
Quando ho chiesto lei sempre pronta era.
Oggi sogna, canta e si arrabbia, ma quando sorride,
Assomiglia molto al ciliegio, quando fiorisce ad Aprile.

copyright text Arturo Pucci 2017 immagine dal Web



Cento strade ... di Renato Fedi


Cento strade senza percorso
hai lasciato in questo cuore,
donna che amai.
Il vento che ringhia nella bufera
s'era nascosto nelle grotte del nulla,
quando t'amai.
Ora, il vento ha lasciato le spire del sonno
squassando il verde che incorona l'estate,
e tu, tu dove sei ?
Silente ricordo di donna,
sei forse tra i monti del sogno
che sempre scalammo, ebbri di baci ?
Solo,
come una barca senza remi
attraccata ad un molo senza acque,
io vivo ancora di te.
Corpo agile e bianco e profumato,
ti vesto di baci nascosti e caldi e violenti
ancora,
sempre.
(1964) All rights reserved - © copyright text- Renato Fedi


copyright image annamariavezio (olio su tela "Attesa")

NUN M’ASTREGNERE… di Vincenzo De Bernardo


- “Ti prego, nun m’astregnere, tu ‘o ssai
ca, normalmente, già, me fai paura,
nun ne parlammo, po’, quando stai annura…,
vai chiano chiano…, nu poco ‘e pietà!

Si’ na muntagna chiena ‘e crema e panna,
io, piccerillo comme ‘o savoiardo
e, specie, quando tu accussì me guarde,
che posso fa…, nun arragiono cchiù!
‘O ssaccio ca pe’ te sono un pupazzo,
‘e chesta marionetta, muove ‘e fili…,
che posso fa, tu cientevinte chili..
e io nun peso nemmeno ‘a mmità!
Me basta ca, ogni tanto, alliente ‘a presa,
me fai fa nu respiro cchiù profondo
oppure, io crollo ncopp’’o mappamondo…,
‘e me, nun te rimane niente cchiù!”-
6.5.2015
All rights reserved - © copyright text- 
Vincenzo De Bernardo "Autore del Giorno" di Anima di Vento - Aprile 17
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"Sorriso amaro" di Cristinapia Sessa Sgueglia

Sorridi... e vorresti ammiccare
una smorfia di solo rancore...
non posso...e non voglio lasciare...
una mossa che possa troncare
la partita va avanti allo scacco
se potessi oserei quello matto.
Si... sorrido e ripiego in silenzio...
spalancare le braccia è il mio invito...
ma non vedi...che cosa è la vita?
Se potessi cambierei queste carte...
che si spostano senza accoppiarsi...
questa vita si gioca bleffando
ma non sempre siam lieti di farlo...
se potessi getteri quelle carte...
se potessi passerei ogni mano...
se potessi ...se potessi...
ed invano resto ferma a guardare chi vince!


All rights reserved - © copyright text- 
Cristinapia Sessa Sgueglia - "Autore del Giorno" di Anima di Vento - Aprile 17
immagine dal Web

martedì 11 aprile 2017

Funambolo di Roberto Gallaccio


Cammino sul filo
di questa esistenza
in bilico tra l'andare
e il lasciarmi andare
mentre il vento
fa ondeggiare
i pensieri.
 
 
All rights reserved - © copyright text- and image Roberto Gallaccio
  Immagine: dipinto di Roberto Gallaccio


sabato 8 aprile 2017

"Doppia identità" di Gerardina Rainone


Quella notte lei non era sola, il corpo al suo fianco non lo ricordava. Si sforzò di pensare alla sera prima, ma la testa le scoppiava. Era sicura di una cosa però, non aveva rimorchiato nessuno. Lentamente scivolò dal letto, scoprendo piano le lenzuola, una gamba alla volta, senza far rumore. Ecco, era in piedi e il silenzio l'avvolgeva. Aveva paura anche a respirare e provò a muovere un passo ma quel corpo si girò, e per poco non urlò tanto fu la meraviglia. Erano passati un po' di anni, ma non era cambiato di molto. Sempre folta la capigliatura come quando si erano conosciuti in quel bar di periferia. Lei aveva bucato mentre andava all'università e, fresca patentata, non era tanto in grado di maneggiare cric e ruota. Era entrata nel primo posto possibile e si era guardata intorno, lui era al bancone a bere un caffè fumante e sembrava assorto nei suoi pensieri. Si voltò e non fece troppo caso a quella ragazza che accanto a lui ordinava un caffè e trafficava nella sua borsa. Fu un attimo trovarsela addosso mentre inciampava e gli rovesciava il caffè. Lei si profuse in scuse e per farsi perdonare si offrì di pagarglielo, ma l'espressione buffa sul viso della sconosciuta lo divertì troppo e ricusò l'offerta. Laura si presentò e Luca, come disse di chiamarsi, le strinse troppo forte la mano. Non era un dongiovanni da strapazzo e nonostante avesse notato l'avvenenza di lei non si mostrò subito appiccicoso, anzi sembrava imbarazzato. Fu questo che forse la convinse a chiedere aiuto subito a lui, in fondo era un uomo e anche di bella presenza. Luca non si sottrasse e l'aiutò a cambiare la ruota ma le chiese in cambio un passaggio. Mentre si avviavano alla destinazione lui le parlava un po' di tutto, la loquacità non gli faceva difetto e lei si sentiva tranquilla con quello sconosciuto bello e gentile. Si era seduto con studiata calma nell'auto e si era anche allacciata la cintura di sicurezza. Solo lo sguardo fugace sulle sue gambe al volante le aveva fatto nascere un po' di imbarazzo ma aveva ricacciato subito il pensiero, sentendosi quasi in colpa per averlo formulato. Quell'uomo la attraeva e la incuriosiva, sembrava anche conoscere la sua auto perchè le consigliò di forzare la terza in una curva. Istintivamente si fidava, anzi gli aveva anche confidato che spesso aveva dei vuoti di memoria, amnesie passeggere, che per il momento non la preoccupavano molto. Del resto il suo neurologo le aveva assicurato che succedeva un po' a tutti di dimenticare qualcosa, come talvolta capita quando ci si reca in una camera e ci si accorge di non sapere cosa si stia cercando. Erano ormai prossimi alla meta quando lui si portò una mano al petto e cominciò a tossire in modo sempre più evidente. Lamentò un po' di dolore e le disse che era per il fatto che non aveva preso le compresse quella mattina. Lei si offrì di accompagnarlo in casa, viste le condizioni ma lui rifiutò, non stava così male in fondo e ce l'avrebbe fatta a salire su da solo, ma mentre lei accostava la tosse aumentava, il viso di lui si fece un po' paonazzo quando uscì dall'auto. Laura scese velocemente e lo sorresse. Chiuse l'auto e si avviarono verso l'appartamento, lui un po' a fatica, camminava reggendosi alla sua vita. Era un locale pulito e arredato con gusto quello che vide entrando,senza fronzoli ma elegante.Un grande divano campeggiava al centro del salotto, dove la invitò a sedersi mentre andava in cucina a prendere le compresse. Sentiva che trafficava con le stoviglie,rumore di cassetti aperti e richiusi. Fu un attimo che sentì un brivido, lo ricacciò subito, ma i passi alle sue spalle la fecero voltare di scatto. Il coltello nella mano di Luca non le diede il tempo di pensare, corse alla porta come una molla, urtò il tavolinetto ma il balzo era stato veloce. Tirò la maniglia con violenza e si gettò in strada convinta che lui la seguisse ma voltandosi non vide nessuno. Cercò freneticamente le chiavi dell'auto, ma accidenti, non le trovò. Era in preda al panico,corse dall'altra parte del marciapiede ma fu un'imprudenza. Mentre attraversava, una moto la investì e fu trasportata all'ospedale. Contusioni e sospetto trauma cranico, ma per fortuna nulla di rotto. Chiamò la sua amica e solo a lei confessò la fuga da Luca. Non voleva certo passare per una sprovveduta.”Devi comunque denunciarlo”le consigliò questa,”non hai scelta, potrebbe essere un pericolo per altre donne. Che strano, però, avrei giurato di aver visto la tua auto sotto casa." Quando fu dimessa si recò alla polizia. Grande fu la meraviglia e lo sgomento quando entrando in quell'ufficio si trovò davanti proprio Luca. La mente vacillò un attimo e rimase senza parole mentre sedeva per la deposizione. Alla donna seduta al computer urlò all'improvviso:”quest'uomo ha tentato di accoltellarmi”indicando lui. La poliziotta alzò la testa dalla tastiera e sbalordita disse:”lei è pazza, lui è il commissario!"Laura si affrettò a raccontare la sua vicenda, al chè il commissario, tossendo in modo discreto, per nulla scomposto dichiarò:”lo so, è mio fratello gemello, ma non è pericoloso é solo un po' strano. Ora andremo da lui e verificheremo con un confronto diretto, magari voleva solo invitarla a mangiare, ha la passione della cucina.”Con una volante arrivarono sul posto, il commissario preferì restare in auto. Non credeva ai suoi occhi Laura, erano davvero identici i due fratelli. Aveva un'aria un po' triste Luca e stancamente li fece entrare non senza salutarla con un sorriso e una frase sibillina:”le medicine vanno prese”. La poliziotta che l'accompagnava si limitò a chiedere spiegazioni dell'accaduto dei giorni precedenti. Luca raccontò che aveva deciso di invitare a pranzo Laura e voleva convincerla a restare a cucina avviata, ma quel maledetto barattolo non ne voleva sapere di aprirsi sicchè distrattamente si era avviato in salotto per metterla al corrente, quando lei aveva avuto quella spropositata reazione. Luca si scusò e disse che non aveva avuto il tempo di spiegare, ma Laura voleva solo andarsene da quella casa e cercò le chiavi dell'auto che non saltarono fuori. Le chiesero se volesse sporgere ancora denuncia per l'accaduto ma lei fece cenno di no, aveva compreso che si poteva fraintendere la faccenda e voleva solo tornare alla sua vita. Nei giorni che seguirono Laura sentì spesso al telefono Marco. La invitò a cena per raccontarle del fratello e lei sembrava interessata al bel commissario. Luca aveva avuto un forte esaurimento in seguito alla fine di una storia con una ragazza e da allora non era più lo stesso, tanto che anche sul lavoro non rendeva e l'avevano messo a riposo forzato. Marco giurava che il fratello non era pericoloso, era solo ossessionato dalle ragazze brune con gli occhi verdi,un po' il suo tipo insomma.Così dicendo le aveva piantato gli occhi nei suoi con una intensità che non lasciava dubbi e alla quale lei non si era sottratta. Le labbra dischiuse,la schiena inarcata, riconosceva i sintomi, era già fritta. L'appuntamento successivo fu a casa di Marco, lui ormai era importante e lei era rimasta affascinata dal primo bacio rubato quella sera. Mancava ancora un po' all'incontro e Laura si preparava con cura. Proprio non si aspettava quella telefonata di Luca che peraltro, aveva scambiato per Marco. Lui non le permise di mettere giù, la scongiurò di non andare all'appuntamento perché Marco non era quello che credeva, e lei sospettò un moto di gelosia. Stava per chiudere quando lui le consigliò di cercare qualcosa a lei familiare nel suo borsello.            Arrivò turbata a casa di Marco, quello che vide la lasciò sgomenta: alle pareti erano appese foto di una sola ragazza, buffo perchè sembrava lei. Ma come poteva avere le foto dei momenti più vari della sua vita? Marco le chiese se andasse tutto bene, ma la testa le girava, cercò di sedersi. Lui andò in cucina a prendere dell'acqua e lei si gettò sul borsello.Vi trovò le chiavi della sua auto e stava per scappare quando si aprì la porta di casa, era Marco! Tutto cominciò a roteare, sentiva le voci in lontananza, poi una luce forte la riportò alla realtà. Era in camera da letto e brandiva la lampada del comò, quell'uomo la voleva toccare e la chiamava con dolcezza. Lentamente si arrese e si appoggiò alla sua spalla. ”Non è nulla, disse lui, tra poco starai meglio”. Chiamò qualcuno al telefono: ”dottore, sono il commissario, mia moglie ha avuto un'altra crisi”.

D.L. 22/4/41 n. 633 "Protezione diritto d'autore e diritti connessi al suo esercizio" (G.U. n.166 del 16/7/41 mod. D.L 22/5/2004 n.128) Gerardina Rainone