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Calliope

Calliope
Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

sabato 16 luglio 2016

"Acari" da: Anime senza ali

Sollevo polvere:
bilioni di acari
assaltano i bronchi ...
s’accasciano lenti
sulle ciglia
Impavida asmatica
sfoglio pagine
Ogni riga inchiostrata
- culla centenaria
d’avi d’acari infestata –
cela me
Cerco la mia vita
la mia storia
in quei petali appassiti
nei fogli ingialliti incuneati
ascosi
Cerco la mia vita
nascosta
da petali appassiti
e fogli ingialliti
Nel ventre degli acari
la cerco.


Da "Anime senza ali" ed. 2016

D.L. 22/4/41 n. 633 (D.L 22/5/2004 n.128) su testo e immagine




martedì 12 luglio 2016

I DUE TROVATELLI Sergio Casagrande


I DUE ORFANELLI
-Perché lo hai aggredito? Non sai che quel bambino ha sì la tua stessa età, ma è figlio di un conte? -Perché ha fatto piangere la mia sorellina! - gli rispose, alzando il braccio che aveva già colpito, come se ancora vedesse attorno a sé il suo piccolo nemico. - Tu non sei nessuno, animale che non sei altro, tu e lei siete solo due trovatelli che mangiate a sbafo alle mie spalle! Ruggì il vecchio, scattando in piedi, sputando la saliva nera per terra e fissandolo duramente negli occhi. Il Trovatello arrossì al rimprovero e lo guardò con gli occhi limpidi che parevano in quel momento domandare qualcosa. Perdono, affetto, misericordia? Perdono per l’asprezza della sua povertà, affetto per bisogno della sua infanzia, misericordia per tutto ciò che doveva a poco a poco capire, che doveva lentamente rivelargli la miseria della sua vita? In quel momento il piccolo senza padre e senza madre pianse. Pianse a lungo, selvaggiamente, seduto sulla pietra del focolare, come una piccola bestia senza ragione, come una piccola anima piena di paura. Lacrime di vena infantile che gli traboccavano dalle ciglia bionde come la pioggia spinta dall’uragano. Di quando in quando si asciugava gli occhi con la logora manica per guardare quella piccola capinera alla ricerca del suo primo gorgheggio, come se fosse la manica a piangere per lei, come se ne avesse indovinata l’origine, come se ne volesse contrastare il destino. E v’era nel suo viso una collera non domata, una umiliazione non placata, qualche cosa di nascosto e di percosso che solo con il proseguo degli anni avrebbe chiesto ragione.





domenica 10 luglio 2016

L'oggi

Siamo noi "lottatori" obbligati fin dalla nascita, lottiamo per imparare, per migliorare, per riconoscerci, per cancellarci e poi ridisegnarci, per affermare il nostro "luogo". Poi si sa imparare e migliorare e riconoscersi senza più bisogno di lotta, si è nel proprio "luogo" con la consapevolezza imposta dalle ferite che hanno capacità di aprire porte sull'Oltre di ogni cosa; e ci si sta bene, davvero bene, l'unico bisogno è di non riascoltare stesse parole, di non rivedere stesse pellicole che abbiamo superato, annoiano e disturbano un'aria tribolatamente rinnovata e genuina. E' il posto in cui stare che abbiamo anelato e per cui abbiamo lottato: l'oggi.

sabato 2 luglio 2016

Favola d'amore di Sergio Casagrande


Piero rimase senza parole. Il suo primo amore, quel fiore di primavera conosciuto cinquant’anni prima, quando lui aveva compiuto i quarant’anni e lei diciassette, era lì in riva al mare, ad aspettarlo.
Non aveva voluto amarla, e gli era rimasta una cicatrice nel cuore che non si era più rimarginata.
Era stato lui a sfuggirla.
Forse la differenza di età, forse la sua fedeltà nei confronti della moglie, l’orgoglio, o i mancati appuntamenti da parte di lei, nell’intento di farlo soffrire.
Ora, gli occhi azzurri e i biondi capelli sciolti sulle spalle, le sue nervose gambe da gazzella, erano lì, a due passi da lui.
Com’era possibile? Un sortilegio? E come spiegare l’incontro con quella vecchia svitata che somigliava alla strega di Biancaneve?
Gli aveva predetto un incontro impossibile e la facoltà di potere esprimere un desiderio. Una follia? Un sogno?
Che fare? Lui era vecchissimo ormai, a novant’anni suonati le forze se n'erano andate. Anche se la voglia di lei era rimasta assurdamente intatta.
Anna lo prese per mano” Vieni, ti vedo strano e un po’ stanco, sediamoci.
O sei forse timido?” Come osava quella piccola peste a burlarsi di lui? Perché ancora una volta lo provocava senza curarsi dei suoi sentimenti? Si adagiarono sulla sabbia.
Intonarono vecchie canzoni. Il sole calò rapidamente e apparve la luna.
Anna scoprì le sue gambe abbronzate, e lui deglutì più volte col volto acceso dal desiderio. “Anna, ti voglio!” gridò all’improvviso. “Sei tutto scemo” ribatté lei sprezzante. “Sono un vecchio, sono un porcone, ma questa volta non ti lascerò scappare, piccola stronza!”
Con una mossa repentina, che gli costò uno strappo ai muscoli dorsali (si era scordato di indossare la fascia autoriscaldante), l’afferrò per le spalle e la costrinse brutalmente ad appoggiare la schiena sulla sabbia. Le baciò con impeto, un bocca a bocca interminabile senza respiro, poi toccò il lungo e principesco collo; infine le strappò la camicetta all’altezza del piccolo seno appuntito.
Anna rimase immobile, non reagì a quella soverchieria e permise alle mani ossute e tremanti di intrufolarsi, alla bocca golosa di baciarla scompostamente in un delirio senza fine. “Stronzetta, stronzetta…”
Si calmò a un tratto, e ricordò quello che per mezzo secolo aveva sognato: non avrebbe sciupato con una sconclusionata violenza quello che il suo amore aveva preparato per lei.
Si allungò all’indietro fino a che il suo viso combaciò con le scarpette di lei, gliele sfilò lentamente, molto lentamente, e incominciò a baciare i suoi piccoli piedi.
Ma volendo renderla partecipe, o meglio intendendo rassicurarla, alzò lo sguardo verso i suoi occhi, e le domandò:”
Dimmi, sai quello che sto realizzando e cosa voglio fare?”
Anna allora lo sorprese:” Lasciami indovinare, vediamo… sì, mi vuoi adorare. E’ dai piedi che si incomincia a baciare una donna quando la si vuole adorare.”
Piero ricominciò dall’alluce sinistro, poi il destro, poi le dita di entrambi i piedi, poi più in su… la leccò, la mordicchiò, l’accarezzò.
Le sfiorò con le labbra tutto il suo corpo, senza toglierle la gonna che scivolava su e giù.
Voleva con questi atti aumentare gradualmente il piacere; lo voleva far perdurare, consumarlo e farlo rinascere più voluttuoso.
Piano, piano, senza fretta. Ingorde mani si soffermarono su ogni sua parte, e quando decise di spogliarla del tutto, la corta gonna e le mutandine si abbassarono silenziose, giù, oltre i piedi.
Ora rimaneva l’ultimo atto, il più eccelso, la concretizzazione del delirio più grande.
All’improvviso però, Piero si accorse che lo strumento più ambito era pieno di incertezze, a mezza via.
No, maledetto, prima bastava pensarla, e adesso che è qui…che figura, che disastro. Si appellò a Santa Maddalena, a San Ilario, a San Arturo, a San Giacomo Casanova (oh, non era santo, ma quante donne aveva reso beate!). I santi non raccolsero l’invocazione. Il desiderio! Doveva tenerlo in serbo per qualcosa d’importante! Cos’era di più importante di questo miracolo?
Alzò le spalle, chiuse gli occhi, e con tutto il fiato che aveva in corpo gridò: “Sorgi fratello dimenticato!”
Nella radura si udì un fremito, dapprima lieve, poi consistente.
Richiamati da una misteriosa invocazione, comparvero centinaia di pennuti che presero posto in perfetto ordine sui rami degli alberi circostanti.
S'implorava, questo era il messaggio, di aiutare un fratello in difficoltà. Siamo arrivati! sembravano dire quei piccoli esseri. La famiglia dei muscicapidi si era sistemata sui rami più alti.
Questa era composta dal pettirosso, il più ciarliero di tutti, dal merlo, che esibiva il suo miglior fraseggio, dal liù, intento a cercare nuovi vocalizzi, e la capinera dalla voce intensa. Sotto di loro vibrarono le frequenze canore dei fringuelli.
Il microscopico scricciolo si faceva largo tra i suoi amici più grandi con la sua sola forza canora, mentre il picchio rosso tambureggiava con vigore sul tronco. Sui rami più bassi la cinciallegra gareggiava nel canto con la timida passera scopaiola.
In quella esplosione di suoni, ogni uccellino della stessa specie si esprimeva – pur su un comune modello di base- in note personali, in dialetti diversi.
Si spiegarono così le diverse valutazioni nei loro discorsi e i differenti gerghi di un gruppo di pappagallini:
“I ta morti cani, chi zeo chel vecio bauco e quea fantoina?”(1)
“Ze un vecio pien de morbin, ciò.”(2)
“Bedda, bedda, tettine dure come cucuzze tieni.”(3)
“Fuarce, fuarce, o là o rompi!”(4)
“E tu non ti cal d'allegria? Schivi gli spassi?”(5)
“O guagliò, numme fa affaticà.”(6)
Ma altri,verdoni, tordi bottacci,crociere, ghiandaie, ciuffolotti delle pianete, frosoni, verzellini, tanti ancora, interloquirono, incitarono, suggerirono, portando le loro esperienze: con i loro gorgheggi sapienti e modulati, con i loro fraseggi delicati, con quel pizzico di felicità e quella giusta dose di amore per la vita.
Infine, in un silenzio assoluto, un piccolo amico gorgheggiò da solista un dolcissimo motivo.
Piero riconobbe con tenerezza quel canto: era l'usignolo che gli aveva dedicato l'ultima nota.
...come evocato dalla tomba dei sensi, a sbuffi e a folate, nella morsa dei brividi di sconvolgente passione, il Fratello maggiore risuscitò.
Con affanno gioioso e possente volò senza indugio verso il nido. Incontro alla vertigine, alla più grande felicità. Incontro al trionfo.
Un sospiro, ed ecco che apparve la vecchia dei sogni: “BUM!, la festa è finita, la fiaba è terminata.”
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- Sveglia, sono le sette, è il momento dell’iniezione.- Ma Piero non aprì gli occhi, non rispose, non presentò il lato B all’infermiera. Era appena volato dall’altra parte.
(1) I tuoi morti cani, chi è quel vecchi bacucco e quella ragazzina? (dialetto veneziano)
(2) E’ un vecchio pieno di voglie (dialetto veneto)
(3) Bella, bella, ha tettine dure come meloni (dialetto siciliano)
(4) Forza, forza o arrivi o rompi! (motto di battaglia carnico)
(5) E tu non ti circondi di allegria? Schivi gli spassi? ( dal “passero solitario” di G. Carducci)
(6) O ragazzo, non farmi affaticare (dialetto napoletano)