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Calliope

Calliope
Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

domenica 11 gennaio 2015

Per noi, per promuovere lo stesso impegno sociale, Caterina posa davanti alla Casa delle Fiabe

Ecco la meravigliosa Caterina del taxi "Onlus Milano 25" con la piccola Super Roby che al momento sta combattendo un brutto "amico" al Meyer di Firenze, accanto a noi la sua mamma e sorella, purtroppo abbiamo coperto lo stand del Progetto Fiaba, ma giuro, eravamo lì, tutti lì, appassionatamente per sconfiggere la Malattia...

Recensioni Ali vive/ Attimi di Antonella Ronzulli

Di gran calibro la silloge poetica dell' autrice che non disdegna, pur nella delicatezza dell'anima con cui posa ogni lemma sul foglio, il palesare una grandiosa forza interiore di cui dipinge il mondo nel quale si muove la sua esistenza, e grazie al proprio mondo interiore che ben conosce, osa denunciare i sentimenti che lo offuscano, quella denuncia/ preghiera a difesa del più fragile (fra le tante NON UCCIDERE L’INNOCENZA” in“Ali vive”, ne è alta e chiara espressione). Nell'analisi del sé, la Ronzulli ha visto e appreso il dolore e lo sconforto ed ogni sentimento reattivo agli sconvolgimenti della vita, li ha vivisezionati, distrutti e ricostruiti regalando a questo libro le immagini degli stessi, dal cuore / pensiero li porge al lettore sul palmo della mano come un dono, come testimonianza di mistero svelato.Preziose sono le poesie dedicate agli amici. La comprensione, l'ascolto, l'amicizia, è un letto di fiori profumati su cui poggiare l'anima. Solo chi conosce il disagio e il dolore e la lotta per espugnarli, sa regalare la delizia di un sentimento puro, e ad esso, colorarne ogni sfumatura di luce d'amore.Antonella Ronzulli sa volare, umana farfalla dalle ali variegate da dettagli di cielo, e sa, con tocco lieve, posarsi sugli importanti temi che solo una sensibilità profonda riesce a scrutare e poi esternarne con estrema saggezza, i colori del nucleo, dell'essenza.Non lamenti di cuori infranti ed emozione fine a se stessa, sono le sue poesie, ma canti che afferrano l'anima e la trasportano nei luoghi dove la parola rappresenta il vivo sentire dell'invisibile, dell'etereo agguantato e tradotto in intellegibile componimento poetico, siano esse liriche dedicate all'amore di donna, a quell'amore che sfiora e avvolge la coppia, siano esse liriche di amore universale che comprende ogni elemento della vita.L'opera è soffusa di onomatopea, ogni strofa pare produrre suoni, che dall'anima sfociano alla mente fin dentro le pagine che stiamo leggendo, ed oltre, fino a congiungersi alle immagini evocate che si proiettano nell'aria che avvolge il lettore. È la magia di un viaggio nell'anima alla ricerca di connubio: mente anima corpo, fino al compimento. Antonella Ronzulli ha saputo essere alchimista di se stessa, attraversa la sua vita nelle strade della mente, dell'anima, del corpo, ne appunta ogni stralcio e lo trasmuta in poesia.Antonella Ronzulli è essa stessa Poesia, è albero dalle cui fronde si affacciano i germogli della sana visione della Vita: il nucleo/ essenza delle cose, il nucleo/essenza della vita, visto da occhi che sanno scrutare i cieli e farne parte. Da questa ottica si può vedere solo l'Essenza, i corollari futili sono annullati dalla luminosità. “Ali vive”, ”Attimi”, sono l'Essenza intellegibile.Annamaria Vezio

Recensione “Giada” di Antonio De Cristofaro

Ho centellinato il racconto di Antonio De Cristofaro, Giada, come cibo prelibato, a ogni pagina un nuovo sapore e alla successiva un retrogusto ad intensificarne il tono, entusiasmante lettura che ha alleggerito e blandito interessanti momenti di incontro fra me, persona, e le persone custodite fra le pagine.
Fluido e intrigante romanzo, in cui i personaggi si intersecano in una danza di situazioni personali che li vede confluire alla figura centrale: Giada, di cui, con magistrale conoscenza dell'indole femminile, l'autore ne dipinge i giorni, dalle giovani e innocenti emozioni di ragazza semplice allegra e innocente, ai ben più tribolati sentimenti ed episodi di donna, e poi di madre, passo passo, infiorando attorno ad Ella una vita fatta di avvenimenti, sentimenti e gioie, dubbi e incertezze, certezze e delusioni, e impareggiabile forza. Non tralascia, Antonio De Cristofaro, i percorsi interiori; delle protagoniste ne dipinge sapientemente gli arzigogoli prettamente femminili, così come fa, per contro, con ogni altro personaggio maschile, di cui viva e coinvolgente è la presenza nella trama del romanzo. Non importa se il soggetto è un bambino o un giovane o un adulto, o se è di sesso femminile o maschile, ognuno è persona distinta e completa, con le sue individuali esigenze e scelte, pensiero, comportamento, indole. Ognuno è una storia nella storia, e sarebbe limitativo parlare del contenuto senza soffermarsi sulla peculiarità dell'autore, che come abile incisore, ben definisce i moti caratteriali di ogni singolo personaggio.
In una storia ben articolata e avvincente, l' intreccio delle loro vite, è un colorato mosaico, ogni tassello ha le sue tonalità, morbide o graffianti, tenui o potenti a confluire in un unicum emozionale e storico. È l'essere umano, nelle sue differenze e sfaccettature, il protagonista primario del racconto, e se pure Giada è il cardine della trama, altre vite si dipanano accanto a lei e sfilano vestite delle loro esistenze specifiche. I passaggi sono talmente reali da intricare il lettore nel contenuto della narrazione, a volte rocambolesca, a volte a scena lenta; o come, nella perfetta esposizione di momenti di intimità carnale, la quale sottolinea la completa umanizzazione del personaggio esaltandone l'indole che lo indurrà al distacco e alla sofferenza, propria e della protagonista principale. Mentre l'anonimo innamorato soffrirà nel silenzio della sua riservatezza e qualcun' altro soffrirà l'umiliazione del rifiuto, altri gioiranno e soffriranno mentre si inerpicheranno nelle strade della vita che comunque conducono a Giada.
Vivi e profondamente umani quindi, i personaggi che si avvicendano in una ben articolata storia lunga un decennio; l'autore rende alta la costruzione di questa sapiente narrazione, sublimando, dipingendo e animando vicende realistiche, contemporanee, che potremmo vedere accanto a noi, coi nostri stessi occhi se Antonio De Cristofaro non si fosse preso la briga di fermarle in un libro, così come si ferma un'immagine su una tela, per porgerla al lettore, a noi, risparmiandoci la fatica di osservare il mondo e di concentrarci sulle sue affascinanti storie. Lo fa lui per noi, e noi lo ringraziamo per averci concesso di “guardare” queste storie, seduti e rilassati col suo libro in mano. L'autore merita un elogio di verista dotto, pregno di profonda conoscenza della psiche e delle sue espressioni, nonché conoscenza delle azioni e reazioni prettamente umane, siano esse volte a figure femminili che maschili. Il finale mi stupisce, abituati alle reazioni che la nostra cultura ci mostra da decenni, cultura che ci insegna come i “colpi di coda del Destino” siano fatali, scoprire che la decisione di Mario è inusuale,personalissima, mi confonde. Anche qui, ancora un elogio all'autore che si è attenuto alle predisposizioni caratteriali e quindi alle scelte di ogni personaggio a cui lo stesso ha dato energia, come fosse ognuno un suo proprio figlio, tutti uguali nell'essenza vitale ma diversi nelle risposte alla vita. Sì, posso assolutamente affermare che Giada è un romanzo avvincente, coinvolgente, completo in ogni sua forma.
  
 Annamaria Vezio

Recensione "Profumo di ginestre" di Rita Veloce

Toccando i grandi temi della realtà in cui viviamo, dal disagio dell'anoressia, alla violenza, all'annichilimento, e ad ogni forma di tormento che rende difficoltoso il nostro cammino di esseri umani senzienti, ella si fa portavoce e abbraccia, come fosse propria la missione, le cause che, con estrema delicatezza poetica, va denunciando.
È senza dubbio, Rita Veloce, antropologa dai larghi spazi nel cuore e nell'anima, tanto larghi da saper contenere con premura materna ogni sofferenza di ogni suo simile. E con materna amorevolezza, mostrare che oltre, c'è comunque luce, vita, amore.
A te deliziosa creatura dalla grande anima, con il mio cuore, queste poche parole

Annamaria Vezio

Recensioni "Le Parole dell’Anima" di Valter Cimarelli

Nel leggere le liriche dell’ autore Valter Cimarelli mi sono ritrovata a pormi la domanda: “ma sto leggendo un’altra persona oppure sto sfogliando il mio diario non scritto, è forse che egli ha vissuto la mia storia e l’ha pianta, risa, spogliata, spalmata nelle sue strofe cantate?

E con l’animo stupito ho continuato a leggere, fino alla fine.
Chiuso il libro, questo scrigno di emozioni strappate all’ estasi dell’aria, l’ultima virgola sulla copertina aggancia la mia attenzione, “sentire battere forte il cuore, è provare emozioni, è essere presenti, è vivere”. La frase sottolinea il mio sorriso, mi sfugge un sospiro e rifletto sui colori che la lettura ha lasciato a volteggiare nella mia mente.
Ed ho compreso, visto, sentito, l’anima dell’autore; non è la mia storia che egli ha carpito, è la storia di un’anima, di quell’ anima che alberga in ognuno di noi, l’anima universale. Sono i suoi sentimenti, le sue emozioni che sono le nostre, che sono di tutti. È il suo e nostro momento che il Cimarelli ha sapientemente registrato come fosse una canzone e poi passato sui fogli nivei che tanto ama vergare a mano, lontano dalla sterilità di una tastiera. Lontano da ogni sterilità poiché è l’universale che egli ha catturato e tramutato in canto, in un’opera che ha colmato la mia fame, la mia sete, rigo per rigo.
È facile per l’autore centrare come una saetta ben mirata l’attenzione emotiva di ognuno sia per la semplicità con cui si pone e sia perché ogni sua parola è una nota, ogni strofa è un canto, la poesia diventa la canzone che intoniamo a supporto del nostro momento.
Ogni strofa è un Canto e mentre la parola apre un varco nell’ emozione, l’immagine che propone si fa Nota, la poesia diventa Melodia.
Entra nel lettore il desiderio di cantarle le sue parole tracciate in fantasiosi pentagrammi, le emozioni di ogni momento diventano canzone di quel momento preciso, fotografato e musicato. Il dolore, la ricerca, il disincanto, la delusione, la gioia emergono dai profondi meandri dell’anima e si innalzano al di sopra del discernimento consapevole, diventano il veicolo con cui trasportare i moti dell’ anima. La semplicità del messaggio è la trama costante di ogni lirica, l’autore si fa portabandiera della canzone della vita con la parola diretta, senza sovrastrutture, senza pesantezze di lessico comprensibile a pochi, semplice e diretta come egli ama ribadire, e come il lettore constata già dalla prima pagina di Le Parole dell’Anima.
L’aggettivo semplice che spesso qui ricorre è da intendere nel suo arcaico significato: schietto, genuino, naturale, facile. È questo che il Cimarelli riesce ad innalzare a pura poesia, a piacevole canzone. Sì, ogni strofa è la canzone che egli canta nella mente trasmutando le commozioni musicanti in parole, in poesia, attraverso la sua penna e sui suoi fogli, esclusivamente scritti a mano. L’autore non ama scrivere sui tasti, perderebbe la sua emozione che invece vuole sentire viva e fluente, scorrere direttamente dai canali dell’anima verso quel foglio bianco che prende vita, compaiono allora parole a traduzione delle emozioni, emozioni e parole a cui mancano solo note per poterle cantare esprimendo così, ad alta voce, i sentimenti muti e repressi nelle pagine per innalzarle al cielo.
Pur avendo sottolineato la semplicità dei versi è prepotente il bisogno di esternare il pregio di ogni composizione che di semplice ha solo lo stile esplicativo, grandi e importanti sono i sentimenti, ora di nostalgia, ora di tenerezza, di introspezione, e comunque ognuno permeato dal flusso di quel sangue che irrora e colora il cuore il quale si spande sulla poesia.
Sono giorni così/ che non ho niente da dire/ sono giorni normali/ senza voglia di idee…/
Sono poesie di ogni momento
E non faccio niente per cambiare/ per non soffrire ancora…/
Poesie mute in un pentagramma
Parlo col mio pensiero/ parlo senza far rumore/ ascolto, e ascolto l’eco/ dei miei timori, ma il mio pensiero adesso/ vorrebbe urlare …/
Poesie di ogni riflusso del cuore
Ti sto sognando e sento/ aumentare il tuo respiro/ stringendo fra le mani/ le tue emozioni…/
…perché ho paura di svegliarmi/ aprire gli occhi e non vederti…/
… ti sto guardando e vedo te/ che stai dormendo/ stringendo fra le mani/ le mie emozioni…
Poesie profetiche
Nella confusa apparente visione/ di un pensiero senza ragione/inconsciamente passai l’orizzonte/ e conobbi i segreti, al di là della quiete/
… nel mondo del poi, senza frontiere/ tutti mostravano l’ultima scena/
… tutto parlava al mio cuore/ unendo dolci suoni dell’aria/visione d’amore e stupore…/
È troppo affascinante la lettura delle poesie di Valter Cimarelli che le trascriverei tutte, solo per il gusto da assaporare ancora la magia del misterioso io qui dipinto, ma lascio al lettore la gioia di scoprirle lentamente e lentamente abbandonarsi alla emozione e sentirne i suoni che magistralmente l’autore ha trasportato in Le Parole dell’Anima.

Annamaria Vezio

Presentazione / Recensione La stessa cosa fluente di Beatrice Bausi Busi


Parlo di Beatrice Bausi Busi, la BBB, donna-elemento, e per farlo devo immergermi negli sciami di vita che è sintesi del respiro stesso. E’ ella monade dei 4+1 Elementi, in essi e con essi Beatrice esiste, vive nutrendo il quotidiano e lo respira, divenendo portavoce per chi non ha l’udito e la vista così sottili da poter interpretare le parole delle immagini che la Natura utilizza insieme ai suoni (o vibrazioni?) con cui a noi si rivolge. E sono vibrazione, onde magnetiche colorate di messaggi, le odi che in La stessa cosa fluente avvolgono il lettore. In ogni  componimento dell’artista vi è lo specchio del Mondo Reale di cui noi, umanità corrotta dallo stress della Civiltà, non sappiamo coglierne il riflesso, anzi spesso ci acceca e volgiamo lo sguardo altrove, per timore forse, di non essere sufficientemente realistici. Ma non solo attraverso gli occhi della BBB riusciamo a vedere ciò che altrimenti non potremmo, ma addirittura ci scopriamo testimoni del suo attraversare memorie ataviche, così come possiamo constatare, valicando la moltitudine di sue liriche chiaramente rappresentative: “… come mai ho sempre amato il suono della bùccina…” e seguendo, a pag 18 o a pag 32 e 36 in particolare, e in tutte le liriche raccolte in questa opera, vi è un rappresentare con tanta perfezione di partecipazione intima, molte situazioni in realtà mai vissute, ma se seguiamo la scia dei fotogrammi che qui sono parole-emozioni, stiamo camminando il percorso che conduce alle memorie ataviche: il grande spazio che ospita la poetessa, e sicuramente anche noi anime inconsapevoli; assolutamente estrapolate da tale fonte sono tutte le liriche di La stessa cosa fluente,e tutte scandite da un ritmo unico, “…appassionati e pacati…”ne è la massima rappresentazione (pag 62), già in questa poesia (ma lo è in ognuna) ci troviamo davanti ad una donna che non ha più fisicità, il suo interiore è definitivamente fuso in quella fonte e non è più scritto quel che leggiamo, ma voce che s’innalza dal libro, suono che arriva da dimensioni eteree, pure, reali come ogni cosa che ci circonda, ogni cosa alla quale sappiamo dare la vera definizione nella giostra dell’esistenza, alla quale abbiamo saputo togliere il superfluo: la fisicità fine a se stessa. Come sensitiva,la BBB accosta delicatamente l’anima al suosentire, in quello spazio “non suo” eppure proprio. Signora di quel grande spazio dellememorie ataviche, l’autrice, con il suo fluido scrivere ella ci accompagna a scoprire questo luogo, premurosamente si fa “mano” con la quale appoggia il nostro essere nell’arcano e ce lo fa assaporare con tutti i sensi, inducendoci ad adoperare il sesto, ora, in questa lettura, e dopo e sempre. Grande insegnamento e nutrimento del nostro interiore, si palesa in ogni componimento che diventa per queste peculiarità, vademecum dell’anima
Beatrice Bausi Busi, questa anima che posiziona la sua Essenza senza contorcersi, ma poggiandosi come ultimo passo di una danza che si è consumata in volute di suoni, si posiziona, dicevo, ad occhieggiare boccioli poggiati su questi spazi, boccioli che custodiscono nella stretta dei petali, il fiore di vite di altri o di noi stessi (già vissute?).

Annamaria Vezio

Recensione su Tele di: Gloria Bicchi pittrice

Conoscere Gloria Bicchi attraverso le sue tele
Se pure di grande impatto e di sicura maestria tutte le opere figurative, ciò che di più mi affascina della pittrice è la potenza che prorompe dai soggetti immaginifici umani e paesaggistici delle sue tele.
I paesaggi onirici in particolare, hanno voce, raccontano vite interiori, parallele, reali, costruttive. L’ anelito di mondi puliti, di acque fresche purificatrici e di alberi sani e di case protettive e strade nuove da percorrere, sono elementi di un unico sentire: la Vita; la vita oltre la dimensione umana restrittiva, la vita possibile per anime di profonda ricerca interiore, ricerca che concede “visioni” facilmente trasportabili dalla pittrice aglio cchi di tutti per merito della sua capacità artistica, facendo sì che ella sia, inconsapevolmente, portatrice di un chiaro messaggio della dimensione interiore sicuramente più potente di quella della realtà contingente.
Forte quanto delicato è il messaggio o meglio, il discorso che i ritratti di donna, con la loro musica incessante ci espongono. Affascinanti queste donne nei quadri di Gloria che se pur bloccate dalle cornici sembrano muoversi, e ci muovono con la loro emozionalità. Pare di udire i singhiozzi repressi nel cuore della donna violentata: piccola nelle sue vesti stracciate, abbracciata a se stessa in un disperato tentativo di protezione, ci fa sentire il dolore dell’ impotenza, la mano affondata nei capelli scompigliati mostra un pianto che pur non essendo presente nel dipinto c’è, ed è un urlo che ci lacera le orecchie.
Così come viene naturale udire il “rumore” dei pensieri della donna bionda circondata di blu (come volesse il blu portarle conforto); con la sua testa poggiata sulla mano, la sua figura mesta che rappresenta un’immagine di donna addolorata, una qualunque donna che soccombe ad una propria tristezza, “parla” direttamente all’ anima di “ogni donna” e ne materializza il vissuto interiore.
La donna della clessidra, sfacciata, con le sue scarpine rosse e le gambe incrociate sembra mostrarsi senza virtù, eppure il suo volto mostra innocenza e purezza, il suo sguardo è pudico, Gloria coi suoi colori ce la presenta come avvolta in una musica, la musica della vita scandita dal tempo che inesorabile ci avvolge e ci fa suoi carpendo e affogando il nostro essere e il nostro sogno di ciò che vorremmo o avremmo voluto essere.
Gloria fa suonare le sue tele, tutte le sue tele, che si tratti di ritratti di donne o di uomini o di paesaggi reali od onirici.
I colori sono note e le note immagini musicanti. Ogni donna di Gloria (sono rimasta affascinata, fortemente affascinata dalle “sue donne”) ha un racconto, un discorso, una voce, una musica che lei sapientemente ci fa ascoltare attraverso le proprie tele. E così come i ritratti di donna, ogni suo ritratto, ogni suo quadro è figlio di pennellate fortunate intinte nella musica dell’anima.
Non è possibile parlare diligentemente di ogni quadro della Bicchi perché molteplici e di varia tipologia sono le sue opere, ma conoscendole una certezza si è formata nel mio animo: Gloria, a mio parere è pittrice di musiche di vita.
Su qualunque opera di Gloria io mi sia soffermata ho constatato che ella le ha dipinte non con colori ma con le note accordate alla emozione di ogni soggetto raffigurato.
Sì, Gloria Bicchi è pittrice di musiche di vita e i colori nelle sue mani sono note e le note immagini musicanti.

Annamaria Vezio

Recensione/ Intervista: Gesù luce del mondo ( saggio di dr. Cesare Paoletti )

Nella opera Gesù luce del mondo, l’autore ci offre la sua modalità di accostarsi a Gesù portandoci alla conoscenza di una sua intima rivelazione esponendola in chiave assolutamente innovativa, e se anche la sua è sicuramente la strada della fede che ogni cristiano cattolico persegue, ben più importanti sono i passi da percorrere per entrare in quella Via che Gesù già ha ampiamente e da millenni mostrato e che pure, noi cristiani continuiamo a cercare.
La grande peculiarità di Cesare Paoletti sta nello esternare una direttiva, una chiave di lettura che pur essendo prettamente filosofica, apre alla chiara comprensione di quel che è il rapporto con la divinità, con questo Dio che Gesù ci offre di conoscere; ma noi conosciamo Gesù?

Io sono:
spiritualità e umanità, come Gesù che afferma io sono nella totalità dell’essere spirituale e umano (perché inconsapevolezza) così l’uomo nel momento in cui si affaccia alla propria consapevolezza di essere un’ eternità, se pure nello strumento di esistenza che è il suo corpo transitorio. V. pag.13
Filosofi, politici, semplici oratori e pensatori parlano esponendo il loro pensiero che è limitato a se stessi, quindi ad una piccola verità che è relativa, non assoluta, non derivante da una Fonte Eterna, dal Padre, ma da se stessi. È se stessi che si propone agli altri, e la propria limitazione.
Pag. 15
Io e il Padre siamo una cosa sola:
poiché la Sostanza Spirituale, l’essenza e la natura del Padre si sono trasferite con l’atto creativo nel Figlio che per questo è di natura divina (anche noi siamo di natura divina ?).
la differenza sta nel fatto che Gesù ha piena consapevolezza e coscienza di ciò, mentre noi non ancora.
Annamaria Vezio










Prefazio "Una stanza vuota" di Francesca Montomoli

Vola un’aquila fotografando le miniature di mondo sotto di sé, dal movimento delle sue ali espande un’eco di fruscio di parole pensate. Le sento, persa nella copertina di Una stanza vuota, apro il libro e scivolo in quella eco. L’aquila mi sussurra antiche sagge leggende, l’autrice gliele suggerisce, e come in un intimo palcoscenico, avvolta dai sensi, guardo il gobbo lì sotto la botola, ma non lo vedo più, seguo solo il volo dell’aquila.

Il sipario immaginario si apre su tutta la grandezza di un panorama dello Wyoming, e come un’ ombra silenziosa mi accosto ad una finestra e guardo una stanza vuota.
Lì dentro ci sono io, mi vedo, sono entrata nel racconto e divenuta la protagonista, la sto vivendo sullo strato delicato e liscio della membrana che avvolge l’anima.
Francesca Montomoli mi ha rapita così, come antico cavaliere di mondi lontani e magici, mi ha portata ai bordi di un vortice e risucchiata nelle pagine vergate di appassionante e conturbante narrazione.
Questo effetto di sospensione in un moto perpetuo, mi ha accompagnata permanentemente nella lettura di questa straordinaria opera.
La storia narrata è sicuramente di grande impatto emotivo, condotta da una penna direttamente collegata ad una fantasia estrapolata dai Meandri di Memorie Arcaiche, il pozzo di sapienza cosmica, che spesso abita anime di particolare ampiezza.
Anime che raccolgono le voci nel vento e le trasportano su ali in eterno planarefiglie de il vento degli shamani, “il vento che purifica”. Quel vento leggero, radente che anima la prateria di onde lunghe e costanti, che accompagna profumi e suoni per chilometri fino a qualcuno che li ascolti in silenzio prima di passare oltre in cerca di un nuovo messaggio. Il vento del tempo che passa senza mutare essenza, incurante del confuso affannarsi degli uomini. E che sorregge le ali delle aquile. Pagina di rara bellezza.
In siffatta atmosfera incantata, mani di donna pristina, su un arcolaio di oro fuso, trama fili di seta che prodigiosamente si intersecano creando, fra traiettorie eteree, una magnifica trina: la Storia della vita. Storia della vita nella concezione universale del percorso dell’esistenza di ognuno di noi e che la Montomoli, creatrice, plasma su ogni personaggio utilizzando quei fili di seta divenuti tessuto fine e nuovo.
Già dall’introduzione si evince la saggezza che permea ogni pagina, se pur celata, dal momento che l’autrice non vuole avere pretese di insegnare alcunché se non narrare una storia, ma l’imbattersi già in prima pagina nel delicato e fortemente evocativo discorso di Capo Orian Mountain Dreammer, è sufficiente per anticipare che tanta è la riflessione contenuta nel racconto così come tanta è la saggezza, e non si può che trarne giovamento e insegnamento. Il primo pensiero, dopo aver gustato la lettura di Una stanza vuota, che si manifestò alla mia mente, come fosse un sottotitolo immaginario, fu “Memoriale dell’Anima” per la raffinatezza con cui sono toccati e sciolti i vigorosi nodi interiori che ogni essere umano porta in sé, sa di avere e sui quali fa convergere la propria attenzione per scioglierli, per riflettere sui perché alcune nostre azioni e reazioni e scelte, ci conducono su strade che non abbiamo previsto e forse nemmeno volute: “non era esattamente ciò che mi aspettavo dalla mia nuova vita e di lacrime ne ho piante tante, ma ogni passo avanti aveva un valore inestimabile, era la conferma che potevo farcela, sapevo ancora camminare; che il dolore, la nostalgia, il rimorso e perfino il rimpianto erano –solo compagni di viaggio e non carcerieri-“ riflette Alice, riflettiamo noi.
Nel libro percorriamo queste strade e per mano di ogni personaggio ne camminiamo sempre diverse, e insieme ci scopriamo in nodi diversi, ma tutti convergenti allo stesso fine, alla libertà del sé, e nel solcare i medesimi passi dei personaggi, impariamo da loro a sciogliere tali nodi, scippando ad essi il sistema escogitato ed applicandolo a noi stessi.
Fatti e accadimenti prendono così vita e incatenano il lettore con il libro in mano fino all’epilogo e pur volendo non si riesce a sospendere la lettura per alcun motivo. Si è catturati da questa malia. Si vuol rimanere lì, nel cuore dell’atmosfera creata con maestria, e continuare a sentirsi protagonista, essere ora Alice eo ra Jason o Beth o Molly o ogni altro personaggio del racconto in cui effettivamente ognuno di noi nel cambio delle proprie maschere, si ritrova, ognuno di noi condivide senza rapinare, con queste sue stesse parole mi sento di manifestare la sensazione che ho sentito io nei panni dell’uno o dell’altro attore di questa fantastica sceneggiatura, ho condiviso senza rapinare. Alice è tutte le persone che la circondano e che come un carosello emotivo, appartengono alla sua struttura antica e nuova, queste persone sono l’Alice che si ricongiunge, si distacca, si viviseziona, si osserva, si giudica e si perdona e si ricostruisce. Attraverso ogni diversificazione dei personaggi, Alice si spoglia del proprio dolore addolorandosi con e per essi, si veste del coraggio della vita a causa del coraggio di essi. Conosce Alice a causa di Alice.
Da Cheyenne a Firenze e viceversa, si srotola il filo di questa matassa colorata di emozioni e sagge minuziose elaborazioni, ma soprattutto di dirette considerazioni su importanti temi esistenziali e di crescita spirituale, e non solo. Felici le esposizioni dei luoghi in cui si dipana la trama con una stesura viva, fatta di visione con l’ottica dell’anima; una visita agli Uffizi sfocia nella bellissima raffigurazione di un momento perso nelle pieghe della veste della Madonna del Cardellino per poi cadere nell’elucubrazione del pensiero di Raffaello mentre lei resta lì, lo sguardo abbassato, le labbra appena smossei lineamenti distesi… espressione che si lascia solo intuire senza essere manifesta, esce dalla tela e mi viene incontro.
Ammirevole il linguaggio adottato perfino nella descrizione dell’attività in un parcheggio di supermercato a Cheyenne: “molti, quelli alle prese con i carrelli stracolmi che sembrano procedere per loro conto… carrelli e umani si contendono l’andatura più sghemba…” è uno dei fotogrammi in movimento lento, una scena comune ma colorata e viva, soffusa comunque di ilare osservazione che, diffusa fra le pagine e in situazioni diverse, smorza l’ autorevolezza della trama del racconto. Ho tratto sicuramente le meno potenti espressioni di cui il libro è farcito, solo per esprimere come la discorsività sia pulita e chiara, e pur nella completezza dei particolari di ogni luogo, accoglie con levità le riflessioni di un diario, di un percorso di vita vissuta fra Firenze e Cheyenne. A Cheyenne l’autrice ci immerge nella meditazione della protagonista sul silenzio, su come sia buono e glielo fa dire mentre è immersa nell’acqua della piscina, calata nei meandri della sua anima, avvolta, inabissata in tale silenzio: tutto è silenzio, un silenzio senza livore, un buon silenzio. Un silenzio da ascoltare. È una riflessione in un ampio complesso di elementi in cui si districa la narrazione, ma è alta poesia. È volare nell’acqua. Ecco, alta poesia profusa in un romanzo, poesia è quanto ho continuamente incontrato in ogni frase, in ogni pagina. Ogni tratto dello scritto potrebbe essere separato e trasportato in versi. È certamente questo il segreto del fascino di Una stanza vuota, la poesia, poesia nel dialogo direttamente collegato ai sensi oltre che all’intelletto. È con questo spirito che mi sono inoltrata nel racconto,assolutamente intrigante, istruttivo e profetico oltre che poetico. Le profonde immersioni nelle più fragili anse della psiche e le aeree risalite nel corso della storia, la sanno lunga sulla capacità di empatia e larga conoscenza dell’interiore di questa grande scrittrice. Ma anche di piacevole ironia che riversa sui vari personaggi nonché su Jason il quale personifica l’uomo con “sindrome di impenitente donnaiolo” ma che cela in tale guisa il suo modo di essere, le proprie insoddisfazioni, paure e aspettative, ed esilarante è il veloce scambio di battute fra le colleghe d’ufficio nel mentre egli sta sfoderando uno dei suoi sorrisi più smaglianti con la nuova assistente di Biologia molto appariscente:-“dici che sa di che colore ha gli occhi”?- “Non saprei, di certo conosce il colore di tutti i suoi reggiseno…” L’ironia è magistralmente fusa a concetti penetranti, a momenti in cui il dolore urla per uscire da cicatrici già cauterizzate, per poi tornare con levità ad istanti meno sommessi. Ma l’ombra delle ombre dei fantasmi, siede mollemente sulle nevi e sui ghiacci dello Wyoming, si insinua nella dolcezza del vuoto di una stanza profumata di caffè italiano e resta in disparte, rispettosa di una solitudine gratificante di un risveglio in un giorno nuovo. Aiuterà la protagonista al raggiungimento di questo stato di consapevolezza, ciascuna esperienza le si porrà davanti per ogni nuovo giorno della nuova vita, attraverso le vicissitudini dei personaggi. Nondimeno, la grandezza dell’opera, per la magistrale miscellanea di dottrine, la gustiamo anche nel profondo capitolo dedicato ad Elisabeth Parker Peterson, Beth. La saggezza che Hannah Sorriso dell’Aurora, governante di Beth, porta con sé dalla tradizione del suo popolo, viene adattata ad una situazione prettamente attuale di una moderna signora americana. È per fotografare il momento di vita di questo personaggio che la Montomoli si avvale di una saggia e antica leggenda Shay-an assegnando ad un “acchiappa sogni” il potere di scaltrire l’urgenza di riconsiderare una situazione di vita stagnante, contemplare la propria cancrena e rivedere se stessi, e il lettore che si inoltra nella lettura di queste pagine, non può esimersi dal constatare che l’occasione di incontrare se stessi ce l’abbiamo sempre e che il coraggio di incontrare e vivere il proprio quotidiano nella piena armonia del sé, è insito in ognuno di noi. Basta ricordare che ognuno È, che noi siamo. Una stanza vuota sarà pure un racconto di fantasia ma riporta realtà contingenti, narra nella profondità, il quotidiano di ognuno e Alice scruta il suo di donna, di persona che vuole essere “araba fenice”, e come diario foriero di fotogrammi di vita in movimento, ci offre le sue immagini in quella stanza vuota dove vede se stessa divenire cenere e poi un’altra stanza in cui si vedrà riprendere in mano i suoi resti e ricomporli fino a riprendere un piumaggio che le possa assomigliare, o meglio che possa confarsi con quella Alice di cui l’immagine le è ancora sconosciuta. La protagonista elabora il suo stato generato da un passato annichilente, la sua stanza vuota, vive la storia di una fuga da se stessa per ritrovarla nel percorso di un’altra vita vissuta in una stanza vuota di un vuoto nuovo, un vuoto amico, un vuoto che è spazio in cui esistere, dove incontrare e riconoscere il proprio dolore, dove incontrare comunque e finalmente tutta se stessa. Spazio in cui ogni attimo, nonostante tutto, è Vita. Francesca Montomoli si serve della sua Pienezza, della sua Consapevolezza, per spalmare pagine di piacevole lettura, narrando compiutamente ora con ironia, ora con delicata spennellata di pittore impressionista, ora con importanti composizioni armoniche. E di più e sempre, con immagini ipnagogiche dell’io interiore con le quali regala illuminazioni sui quid di tanti nostri malesseri che non ci si aspetterebbe da un romanzo la cui trama è scorrevole, lineare, affascinante, intrigante, il cui solo scopo è di avvolgere nella lettura di una storia. È questa la magia di cui è capace l’autrice: saper lasciare in noi lettori, tracce di vita nel mentre siamo convinti di leggere solamente una bella storia che però, dopo aver gustato, ci lascerà in bocca un sapore di buono, un sorriso nell’anima, tante risposte e nuovi spunti per nuove domande e, soprattutto, il dispiacere che la storia si sia conclusa, che non ci siano ancora pagine da leggere, che bisogna chiudere il libro ed uscire da quell’abbraccio che ci ha avvolti per tutta la durata della lettura. Siamo stati in una stanza vuota che tuttavia ha le sue ampie finestre affacciate su grandi panorami, il panorama della vita, con tutti i suoi meravigliosi colori. Una stanza vuota colma di aria buona e di spazio per viverci. Ecco, ora voglio aggiungere il mio consiglio ai lettori nell’approssimarsi alla lettura con le stesse parole che l’autrice cita a pagina 101: “dimenticate il pensiero e perdetevi nella voluttà del gusto”.
Mi sono persa in questa voluttà. A me, è piaciuto perdermi, non risvegliatemi.
Francesca Montomoli, regalaci nuove pagine della tua magia, regalaci la tenerezza con cui conduci i tuoi personaggi all’incontro con se stessi, accompagnaci in questo quotidiano e umano cammino con la saggezza, l’ironia e la compassione che hai profuso fra le pagine di questa, anche nostra, stanza vuota.

Annamaria Vezio

Recensione a: Calzature, Situazioni, Persone di Beatrice Bausi Busi ed. Romano

Ciò che fortemente mi affascina del modo di scrivere della BBB è il suo danzare dentro le cose. Sembra di essere elemento negli elementi, ed essendo lei stessa, la stessa eterea sostanza, se ne fa“Voce”.

Parla e scrive facendosi strumento delle “Cose”, è come ascoltare incessantemente la preghiera: “… credo in tutte le cose, visibili e invisibili…”, Beatrice crede in tutte le cose perché ne è parte integrante, il suo tessuto è permeato di fili del visibile e dell’ invisibile, ma soprattutto dell’invisibile ne sa ascoltare la voce, fermare il movimento, essere nell’ essenza della parte pulsante della vita che, chi non ha occhi e orecchi attenti, non conosce.
Ogni storia di Calzature, Situazioni, Persone, è un dipinto, uno spaccato di vita visto, guardato contemplato gustato, in ogni angolazione. Visione a 360 gradi.
Passi ironici e pregni di sorrisi sono in realtà il morbido involucro in cui si adagiano sentimenti estremamente profondi, e all’ occasione essi scoppiano straripando fra le righe e inondando l’anima del lettore di forte commozione. Commozione che unisce il lettore alla lettura divenendo un tutt’ uno con il sentimento che la scrittrice ha spalmato, come maestro pintore, su ogni pagina del libro.
Libro bellissimo forte delicato prorompente, che strappa l’anima, che fa sorridere, racconti che raccontano l’essenza.
E che strappa l’anima trovo Rosso anemone (sandali inadatti) di cui sono innamorata. In tutti i racconti del libro, ma in questo in particolare, ci sono caduta e rimasta intrappolata nelle possenti evoluzioni delle emozioni, e in esse mi sono vissuta: (prendi in mano il mio cuore).
Questo fa la BBB, ti obbliga a vivere le emozioni che sta porgendo attraverso i fogli. Come un mistico trasporta, attraverso la sua Visione alla conoscenza dell’interiore e degli elementi che lo compongono. Questa è BBB.


Da CALZATURE

Rosso anemone
(sandali inadatti)
Uno spaccato di una realtà superficiale e snob e di gravi e importanti problemi etico/sociali oltre che profonda indagine psicologica, dipinti con geniale ironia.
leggi pag. 11
Dall’ironia al dramma
leggi pag. 11 (1-2-3-4)
Macchemifrega: adesso posso svenire…


Da limone a creme caramel

(ciabatte marocchine)
La fusione dei colori sapori sensazioni
leggi pag. 22

La vicina scomoda

(calzature assurde)


La tenera giocosa ironia
leggi pag. 32
Spaccato di comune vita quotidiana
leggi pag. 34

Sonante oscurità

(sandali eleganti)


La palpabilità del suono e del non suono
leggi pag. 38 (1)
L’ animismo nella meccanica
leggi pag. 38 (2)
La facile descrizione dell’ anima delle cose
39 (3)
Grande comprensione della fisiognomica
40 (3 a)
Le scarpe: specifica della condizione di scarpa elegante che “veste” la donna elegante (4)


Ciao
(le scarpe di ogni giorno)

Saggezza nel quotidiano
leggi pag. 46


--Allegria e leggerezza fuse con eleganza e impegno vitale--


Da SITUAZIONI e PERSONE

Ilgusto del territorio


La saggezza ce la pone sulle labbra
leggi pag. 57
dal regno animale 58 
a pag. 59 svela il mistero

Prendi in mano il mio cuore


La più bella in assoluto (dopo rosso anemone)

Impossibile da commentare, solo qualche frammento (premio lett. Naz. Elisabetta e Marianna Casini)
Leggi pag. 63 (1-2-3-4-5-6) e poi (7-8-9)

Incredibili estati

Senza enfasi ma con immagine diretta
leggi pag. 69 (1)
L’ironia 73 (2)
La forza della coscienza che è la famiglia, la matrice che da’ la forza (3)


Il talento di un santo


La saggezza antica, arcaica - Saggezza-
leggi pag. 85
La descrizione del “piccolo” agli occhi dei “tanti” che sempre tanti mai hanno veduto il Saggio.
Descrizione del saggio
leggi pag. 85
Il dialogo
leggi pag. 89/91 (da 1 a 6)
Un piccolo rimpianto

Particolarmente forti le immagini dei sensi
leggi pag. 96 e 103/ 106 e 107

Aborigeni metropolitani
leggi pag. 108 (1-2)
bellissimo il 3 leggi tutto

Cucurbitacee
Stupefacente descrizione di un attimo
leggi pag.112
La trasposizione dell’io intuitivo nell’io sensoriale
“ “ 115

Olivia

Come si può passare senza essere circuiti da queste righe
leggi pag. 117 (1-2)

Scaglie
Felici espressioni
leggi pag. 125

Gira e scuoti
Bellissima narrativa, meraviglioso fotogramma, quasi come vederne il video
leggi pag. 131 (1-2)
Importante, introspettiva elaborata e successivamente esternata in realtà concettuale
leggi pag. 134

Annamaria Vezio

Prefazio: In Azzurro di Aneta Timplaru Horghidan ed. Litho comm.

Nella freschezza delle note di Aneta, trasfuse goccia a goccia fra i lemmi, scivoliamo lentamente e lentamente ci lasciamo trasportare nelle onde di cielo fra le quali vaga e risiede l'anima di ogni poesia. Non potrò soffermarmi sull'una o sull'altra lirica poiché l'una è la nota dell'altra in un continuum armonico, tutta la silloge è melodia dello spirito, e lo spirito stesso travolge e avvolge per portare il lettore in quel cantuccio di Eterno che l'autrice ben conosce. È forse ella quell'anima pura che ascolta i messaggi arcani e dopo averli fatti suoi, vissuti sperimentati e goduti, ce ne fa partecipi. È forse ella la messaggera che dal mondo alto, dai cieli superiori, accoglie i sussurri degli angeli e insieme ad essi li trasporta sulla terra e li dispensa alle menti senzienti per conceder loro la conoscenza di quell'eterica sfera di vita, che se pur cammina con noi nella quotidianità, spesso non la riconosciamo. Va ad Aneta il grande merito di saper colmare gli spazi che intercorrono tra il “mondo di sotto” e il “mondo di sopra” facendo della poesia lo strumento olistico, il Tutto come ci dimostra l'etimologia stessa del termine "olos”, letteralmente: “Tutto o il Tutto”, codesta meravigliosa attitudine di considerare il corpo mentale, fisico, psichico e spirituale, e le loro manifestazioni, un tutt'uno alla visione dell'Universo, della Natura, della Terra, dell'individuo e della Vita in un concetto di interrelazione continua in cui - tutto avviene contemporaneamente -interagendo in un'unica Armonia. È armonia il contenuto di queste sonore pagine, è armonia l'opera letteraria che con timoroso rispetto, sto sfogliando beneficiando di rigenerata gioia spirituale, mentale, fisica e psichica.
Leggere In Azzurro è unguento per l'anima per chi voglia respirare aria buona pura e alta, rinnovarsi fra le strofe, altissime, e vivere il tempo della lettura fra le note sospese del Tutto del Tempo in eufonia con se stessi e col mondo circostante.


Annamaria Vezio

Prefazio Il sentiero dei camosci di A. R. P.

La lunga esperienza nel campo letterario nonché figurativo, e la passione della drammatizzazione del pensiero, attraverso sceneggiature di testi in teatro, hanno fatto sì che rimanessi particolarmente colpita dal trattato “Il sentiero dei camosci”. Per indole sono affascinata da tutto ciò che passando per la penna o per ogni veicolo creativo, conceda immagini chiare e quasi palpabili, nel corso della visione degli stessi mezzi di esposizione, tanto più se questo è la rappresentazione di tangibilità di non ancora chiara comprensione. Nella mia variegata attività di critica letteraria e di costanti contatti con piattaforme della rete, mi sono imbattuta per caso su questa opera di uno scrittore, a me fino ad allora sconosciuto, accompagnata da significative recensioni di miei illustri colleghi i quali reputano il contenuto notevole, nonché onesta prova letteraria sul panorama nazionale, particolarmente rivolta ad una realtà poco divulgata, se pure tante sono le ricerche e i saggi su di essa concentrati: la realtà carceraria. Ho sentito quindi il bisogno di contattare il P.... il quale ha dimostrato di avere forte consapevolezza di quanto il mondo libero sia ignaro delle dinamiche reali e del sottobosco di norme che regolano la vita dei penitenziari italiani, il suo intento è di rendere pubblica la sua opinione e con la concretezza di dati che produce, dimostra ampiamente e seriamente la staticità delle norme che rendono la vita carceraria un delirio, egli espone con chiarezza e sana convinzione, la sua ampia preparazione ed informazione che va aldilà del vissuto come semplice detenuto (studi sulle regolamentazioni interne della struttura, da lui raccolti nel documento “Elaborazione- progetti- analisi-carenze- disservizi”; e nell'opera in questione al capitolo: “La palude normativa- Il trattamento ipotetico” a pag. 180, ne sono valida testimonianza).      

La mia attenzione è stata poi maggiormente catturata dall'incontro casuale (grazie ad una improvvisa deviazione dal luogo dell'evento culturale dove mi recavo il primo settembre scorso) con il direttore delle carceri Giuseppe Makovec. È stato piacevole stupore il constatare quanta stima e quanta convergenza di pensieri vi siano tra il direttore Makovec e il P...., ambedue ferventi sostenitori, come d'altronde molte personalità dell'ambiente, di un carcere sì di espiazione delle colpe, ma al contempo educativo, costruttivo, reintegrante. E che non sia una utopia.
Ridare l'uomo ad un uomo può accadere a chiunque varchi le soglie del “mondo carcere”.
Forse esistono le strade per aprire un breccia, il neo scrittore ha la chiave giusta.
È purtroppo annoverato, in letteratura così come in cinematografia, un lungo fiume di opere che affrontano il tema delle vite drammaticamente disperse fra le mura carcerarie, il quale patisce carenze strutturali su ogni fronte, umano e organizzativo, che è sicuramente realistico. Ma in questa narrazione/documento, ne Il sentiero dei camosci, vi è ha una nota alquanto insolita, è sdrammatizzante. L'autore si muove fra i personaggi di molteplici categorie quasi rasserenandole: ladri, rapinatori,terroristi, alcolisti, ed anche bravi individui, forse pochi, ma anche costoro non hanno la certezza di non cadere, a torto o a ragione, nella morsa del carcere. C'è una porta aperta per ognuno. Siamo all'acme del messaggio: non tutto è perduto, nel contrasto di colori di una storia, vi è il recupero finora ritenuto impossibile nella realtà. Si può migliorare il contesto delle norme esistenti applicandole e scrostandole. Si può ritornare nella realtà di fuori senza aver perso la dignità nella realtà di dentro. Si può restare cittadino di una società senza dividerla in due mondi separati da barriere invalicabili..
Ma quali saranno gli stimoli che indurranno l'ideatore del manoscritto ad avere questa convinzione?
Con grande e delicata sintesi, nel testo e nella vita, vengono messi a fuoco numerosi valori, proprio da colui che è artefice di un caso illecito ed estremo. Saranno i suoi più agguerriti indagatori a spingerlo ad un profondo senso dello Stato e della Giustizia, severi e grandi personaggi di quella giustizia equilibrata, porteranno l'uomo più trasgressivo ad essere ancor più coraggioso e leale, quasi a superare i suoi stessi maestri. Fuori da ogni convenzionale tangibilità, da ogni realtà fino a oggi conosciuta, qui è poggiata anche la storia umana di una scommessa di un uomo di legge su un altro uomo che la legge l'ha amata e poi odiata e tradita. Il coraggio di puntare su un perso e ritrovarlo poi, con un alto senso della giustizia e delle leggi. Sarà la carta che canta vittoria.
Questo uomo, e come lui molti altri detenuti, hanno raggiunto una sorta di equilibrio grazie a personaggi che nella struttura carceraria hanno continuato ad essere uomini al servizio della legge, uomini che senza prevaricare col proprio ruolo l'inferiorità del detenuto, hanno piuttosto sopperito alle chiare mancanze di un organo di pena sempre più sorpassato e vacillante. Perché uomini si resta anche fra le mura della più inviolabile galera.
È essenziale che il Penitenziario assuma giusta forma mentis: il condannato e tutto ciò che lo circonda, devono essere risoluzione di un danno e non delirio umano, delirio per il recluso e per il personale a cui è affidato, è importante riabilitare l'essere umano per conferirgli quella forza e quello stimolo al superamento del degrado in cui si trova, e di conseguenza rendere più vivibile anche il compito delle guardie carcerarie ed operatori tutti. È essenziale semplificare la palude di norme che mettono in difficoltà ogni precipuo diritto umano, come vediamo chiaramente esposto in uno degli argomenti (indagine conoscitiva recluso), all'uopo trattati nel capitolo “La palude normativa- il trattamento ipotetico”: c'è una forte discrasia tra quelli che dovrebbero essere i doveri dell'equipe e il trattamento che in realtà si riceve. Leggiamo specificamente, in un dialogo tra il detenuto P.... nel redarre una istanza per due sperduti nuovi compagni di carcere, quanto tanto lontana dal reale sia la quotidiana applicazione delle normative carcerarie. La disposizione che prevede una prima ipotesi di trattamento dopo i sei mesi di detenzione, implicherebbe l'incontro di una equipe di osservazione formata da direttore, educatore, assistente sociale e in casi dove occorra, psicologo o criminologo e un rappresentante della polizia penitenziaria, tale equipe è sollecitata dai casi in cui sia importante inquadrare il recluso, al quale, successivamente valutata la specifica situazione, verrebbe assegnata la soluzione più idonea, come altri istituti consoni alle necessità di trattamenti significativi e nello specifico: lavori specializzati, corsi scolastici o di formazione professionali e quant'altro. Ma il reale si scontra con le regole stampate sulla carta. Su sessantamila detenuti poco più due migliaia possono ambire di essere ricevuti in strutture adeguate e attrezzate. La risocializzazione è utopia, non ci sono fondi e strutture, e in quella che ospita, l'equipe non funziona, l'osservazione è limitata a udienze statiche e artificiose, non vi è un'attenta considerazione dei bisogni del detenuto.
L'obiettivo dell'applicazione dell'incontro fra equipe e detenuto consisterebbe nella revisione di quei comportamenti che sono stati, in qualche modo, di ostacolo ad una normale integrazione nel tessuto sociale... nel far leva sulla qualità dei rapporti interpersonali per realizzare una comunicazione e l'instaurazione di rapporti significativi sul piano umano... gli psicologi sono autorizzati ad essere presenti all'interno di una struttura di trecento/ quattrocento persone, per sole venticinque ore mensili, e sono al massimo due, e ovviamente sono impegnati nei trattamenti dei detenuti difficili, un detenuto non particolarmente problematico secondo il metro di giudizio dell'ambiente, riuscirà ad avere un colloquio non più di tre volte l'anno. Queste operazioni manchevoli comportano nei fatti un allungamento dei tempi di conoscenza del recluso, quanto potrebbe essere fatto nell'arco dell'anno, si prolunga fino a due tre anni. Due o tre anni in cui l'essere umano/detenuto deteriora ulteriormente le sue potenzialità di riadattamento. La possibilità di lavoro nello stesso interno, è lasciato all'approssimazione e ai favoritismi del personale di custodia che sceglie a suo piacimento. Si confonde un diritto con un dono, il lavoro diventa premio che il personale di custodia concede ai reclusi, anche questo elemento determinante fa parte delle tante interpretazioni personalizzate del penitenziario, interpretazioni che ognuno modella a proprio piacimento variando sistematicamente l'ordine delle cose ancor prima che venga costituito, confermando nel recluso il senso dell'instabilità ed acuendo quindi il malessere. Altre sono le note dolenti che vengono toccate e a cui si auspica una decontaminazione: una infrazione minima come elevare il tono della voce, può significare una sanzione disciplinare che annulla  “abbuoni e permessi, e compromettere quanto di positivo si possa aver ottenuto fino a quel fattore X . Si dimentica che il carcere dovrebbe porsi come possibilità di recuperare lo spazio nella vita con alternative umanamente compatibili, e non istituzione che soffoca e   muore nel ginepraio di cose scritte e di interpretazioni variegate delle stesse. Oggi è una palude in cui ogni recluso viene gettato e dimenticato.

Leggo fra le 250 pagine del manoscritto, una storia avvincente che sa toccare ogni vetta, che sia dell'illecito o della salvaguardia delle leggi o delle descrizioni particolareggiate di ogni evento vissuto fra le mura o fuori da esse, il tutto è avvolto di suoni e colori, è vivo. Non c'è un protagonista in questa storia, sono tanti e ognuno ha la sua di storia, e tutte confluiscono nel bisogno di un futuro carcerario possibile, sostenibile, umano. Leggo e vedo, non più vette metaforiche ad ogni passaggio ma cime reali e, come fossero lì, si lasciano guardare. Davanti agli occhi i movimenti veloci del vento raggruppano e disperdono nubi e azzurri, cambiano l'intensità dei colori, producono tempesta e neri orizzonti, angosciosi bui, e fulminanti cieli rossi caduti malamente sul panorama. L'autore meraviglia con le sue rappresentazioni dei luoghi fisici e dei moti dell'animo di ogni personaggio, non solo per la bravura letteraria ed immaginifica, ché esse da sole non bastano se non vi è un abisso interiore in cui pescare pensieri ed immagini. È sicuramente un uomo che ha infranto le leggi consapevolmente, con tutte le attenuanti di un vissuto, dall'infanzia in poi, che accostate alla propria indole indomita, hanno plasmato una forza della natura, temerariamente gettata nel delinquere dagli spazi stessi della sua formazione di tutore della Legge. E sotto la legge cade o si lascia cadere forse per l'inconscio desiderio di trovare il vero sé, ritrovare l'equilibrio nella sua iperattività intellettiva e fisica; la stessa funzione del sogno lavora nella sua coscienza, tratteggiando quanto probabilmente riemerge dal fondo di un carattere testardo e orgoglioso, portando alle soglie del pensiero senziente quei meccanismi che gli concederanno la giusta ricettività agli stimoli di rinascita. Anzi di riconoscimento di se stesso. Ogni cosa si muove per ricostruire le fondamenta. Ha quindi rielaborato se stesso, pur nelle condizioni inidonee di un ambiente annichilente quale può esserlo la galera, si è vivisezionato e ricomposto, giudicato oltremisura senza concessione di perdono, ma consapevole di una costante in tutta la sua esistenza, il punto che fu di identificazione di sé in periodi di onestà o di delinquenza: lealtà, rispetto dell'essere umano, se pur con le accezioni delle condizioni di casi specifici.

È forza mal utilizzata che è stata canalizzata in una forza giusta, quella che ha dato via al rinnovamento morale di un detenuto, è stato il comportamento retto e giusto dell'autorità del carcere, le iniziative culturali e sportive, la scolarizzazione e quant'altro dovrebbe e potrebbe funzionare, a risollevare da materassi obnubilanti un uomo. Ma è un caso, uno dei pochi e grazie a situazioni particolarmente ottimali. È sufficiente, a volte, un buon direttore per cambiare le sorti di una Istituzione, ma i cavilli, i codici, remano sempre contro, ed anche i “buoni direttori” non sempre hanno la meglio. Non vi è continuità, non vi è una normativa applicata che renda uno sporadico miracolo, una realtà, che pure esiste in Europa e anche in rari casi in alcune carceri italiane. Perché non deve espandersi questa possibilità di rendere all'uomo la dignità, una volta ritrovata e raggiunta, dopo averla persa a dadi con la sua prima esistenza? Perché il carcere deve somigliare ai gironi dell'inferno dove c'è posto solo per le anime perdute che dovranno perdurare il loro misfatto con l'umiliazione e il dolore perpetui? Nell'epilogo del testo leggiamo chiari riferimenti su manchevolezze, disservizi e vituperi perpetrati in un non lontano 2010 ( da pag. 206 a 210 constatiamo come “... la comunità carceraria negli anni era diventata un agglomerato di depressi ed instabili, l'antico regno di sonnambuli coatti si era trasformato in un “depressometro” , una camera iperbarica con funzionamento inverso...”).
Ogni elemento che possa fare di un essere umano una persona, viene tolto, pur anche la deprivazione di limitati spazi personali, non è educativo, è punitivo, crudelmente punitivo. È  l'imbarbarimento che si offre sotto l'effige di giustizia e pena. Leggiamo a pagina 61: “Quando si entra in un circuito carcerario, c'è una immediata spoliazione del sé. Attraverso una miriade di degradazioni, di mortificazioni e di profanazioni del mondo privato, il pudore individuale viene divorato nel giro di pochi mesi... La coazione del carcere riesce  a riprodursi soprattutto su piccoli frammenti di vita quotidiana, e la doccia in comune appartiene di fatto, a questo infernale macchinario...”. Qui abbiamo incontrato un solo momento dei tanti momenti che compongono una minima parte della giornata di un comune essere civilizzato, non si chiedono agi da hotel a cinque stelle, nemmeno da caverna, si pretende il rispetto all'essere vivente, alla dignità di uomo. Ed uomo resta anche il più efferato dei criminali.
La morale interna prevede una impronta militaresca, il dictat è “ordine e sicurezza” e questo corrisponde al verbo“punire” senza scrupolo, è sufficiente un nonnulla, una risposta sbagliata per decretare sanzioni disciplinari (pag. 212).
Non lontano nel tempo è la pubblicazione del testo“Carceri trasparenti” i cui contenuti furono appassionatamente discussi dallo stesso Makovec, il ministro Vassalli e il direttore generale, e magistrati di sorveglianza di Rebibbia. È il sogno che P.... non vuole lasciar sfumare nei colori di ogni sogno, nel colore del nulla.
L'ombra grigia dei camosci stagliata su fianchi di grigi ed alti muri, montagne sormontabili, dovrà riprendere il colore vivo dell'esistenza, i camosci non sono morti, ora bisogna guardarli. Uno dei camosci ha creato i presupposti.
L'autore cita all'uopo l'affascinante metafora che lo scrittore Erri de Luca scrisse in uno dei suoi libri: il camoscio e il cacciatore vivono e muoiono per lo stesso senso della sfida e della vittoria senza sosta, a costo della propria esistenza, a costo della propria morte. È quel che accade al carcerato (il camoscio) e al cacciatore (il carcere), ambedue rovineranno l'uno sull'altro per una errata distribuzione di capacità e forze.
Pur se romantica è la felice descrizione della metafora, il significato è lo spaccato, grezzo, disumano, maleodorante di morte, della reale esistenza nei penitenziari italiani.
I dati analitici e documentati, di ogni antro burocratico e concreto delle carceri, nel testo esposti, ben delineano i tratti di una realtà che va urlata a quell'altra realtà, a quella dei cittadini liberi che se pure guardano con distacco e timore, sono pur sempre possibili transitanti la soglia del regno dei camosci. Va squarciato il velo e mostrato quel che troppo celiamo dietro a chilometri di parole scritte e parlate, ma non per mera informazione, bensì per raggiungere l'attenzione, vera attenzione. E la soluzione possibile.
Il punto centrale della riflessione è che si parla di pene, di giustizia, di prigione e si conosce poco il sottobosco carcerario. In questo grande collettore sociale, in questa fabbrica di immobilità e di inutilità, ci si scarica e vi si trova di tutto...  (cit. pag. 222). Assolutamente dissacrante e rassicurante il gergo e gli scenari adoperati dell'autore, come nel capitolo“La strage degli innocenti”: … c'è chi si trova dentro assolutamente innocente... questi casi non sono frequenti, diciamo un 3-5 %, però quelli che di primo acchito si spacciano per innocenti sono il 30-40 %... quando esiste qualche legittima diffidenza, viene accettato, diciamo tollerato, ma tanti hanno una straordinaria propensione alla menzogna... favole asmatiche e senza senso... Troviamo in questo capitolo (pag 35) la conversazione tra Enrico e l'innocente di turno, una esilarante scena dimostrativa della oggettività di dati (il 3-5 % di popolazione carcerata che comunque vive un ambiente subumano senza colpe), magistralmente esposti attraverso una situazione di complicità amena e di amicizia consolidata fra i compagni di lungo corso: “se c'è una cosa che non sopporto sono proprio gli innocenti in galera. Ma fammi vedere una cosa”. Gli prese le mani e finse di osservarle.
“Dai, anche i piedi”
“Che devi vedere dai miei piedi?” Ribatté un po'perplesso il tizio”
“Gli innocenti hanno le unghie ad uncino. Gli vengono così per la rabbia. E poi l'innocenza può rovinarti anche le gengive,f a vedere pure quelle...”
Tratti di vita all'interno di una galera frammezzati di aneddoti su fatti quotidiani e di profonde riflessioni sugli stessi, due facce della medaglia della stessa moneta di ogni recluso. Importanti e profondi i pensieri nel trarre le somme di una giornata al finire, analisi di un percorso non prevedibile in un pluri- condannato: “la convivenza fra le sbarre, è una condizione particolarmente opprimente, colma di complicazioni che vanno affrontate di volta in volta, ma in maniera diversa da come le avremmo affrontate all'esterno. Ogni giornata ti impone di guardare l'animo degli altri e subito dopo decodificarli in relazione ai tuoi. Ogni giornata è una lunga spossante seduta psicanalitica. Tutto avviene con strappi laceranti della propria realtà interiore” (cit. pag. 36).
La rivolta dei tortellini è uno dei tanti passaggi vivaci, rocamboleschi e nonostante la severità del fatto, descritta con bizzarra formula, come un cronista in ripresa diretta concitato dietro al microfono. Sembra di vedere e sentire alle spalle dell'ipotetico cronista, il clamore di detenuti asserragliati e l'assordante brusio di voci concitate, separate in fazioni diverse per idioma dai vari gruppi etnici, il fragore di caloriferi scardinati e gettati insieme ad armadietti, tavoli e sgabelli e quant'altro, ammassati a fungere da trincea,... un odore pesante che prendeva alla gola... capii che avevano appiccato fuoco ai materassi... erano in resina espansa, materiale che faceva un fumo denso e terribile. Ascoltai le grida, il carcere tremava dal rumore... una frotta di agenti brulicava nella penombra delle scale, alcuni tenevano estintori in mano, altri avvolgevano fazzoletti intorno a bocca e naso... erano tutti galvanizzati, l'adrenalina si scaricava bollente in corpo... Poi l'entrata in scena di un ispettore capo, Poloni … figura molto conosciuta a Rebibbia... si tirò su le maniche come un chirurgo... senza batter ciglia e senza espressione, avanzò una decina di passi. Figure nere e disarticolate come burattini scossi da sobbalzi, si agitavano nel fumo. Ad un tratto uno straniero, con un balzo da uccello, saltò fuori dalle barricate, sputando in arabo una raffica di frasi isteriche... Poloni restò in silenzio sbirciando nella confusione della corsia... da una cella usciva una grossa fiammata fumosa. Capì che non c'era possibilità di trattativa... La sua faccia era contorta in una smorfia che gli consentiva di parlare fra i denti: “nessun diritto per quelli come voi. La gente che sfascia il posto dove vive ha sempre torto”... Lo straniero ebbe un lampo di fastidio sul volto... “sono un guerrigliero nel mio paese - tuonò fieramente- mi sentite? Non mi fate paura... - si levò un ruggito di approvazione- ... lo straniero si sferrò un pugno sul petto in segno di virilità e coraggio... roteava gli occhi... bestemmiando a bocca aperta con quanto fiato aveva in corpo... la faccia rossa e le vene del collo, funicelle blu... Poloni raggiunse i colleghi e scaricò come un mantice l'aria che aveva nei polmoni. “Fiuuuhhh! Credevo di beccarmi un coltello nello stomaco!” - Rimase lì fermo diversi secondi, scuotendo la testa per schiarirsi le idee... Ma si riprese: “allora vogliamo cominciare con l'acqua?”... Poloni in piedi... pugni sui fianchi ed espressione ostile sul volto. Studiò per alcuni attimi la situazione... nel vedere il tramestio di due gruppi d detenuti che si disponevano confusamente... chiuse gli occhi e meditò... Dateci sotto... la sua voce era tonante e piena di autorità... Ormai la corsia era allagata e l'acqua mescolata alla miscela degli estintori era una bianca patina scivolosa... detenuti giacevano a terra... anfibi... randellate... urli... Poloni si fece di nuovo largo e avanzò fino a pochi metri dalle due celle... prese a fissarli, alzò il mento orgoglioso nell'ultima espressione di sfida... sperando che la sua fama di mastino delle carceri potesse dissuadere il manipolo di rivoltosi... si squadrarono per un lungo istante. Lo sguardo del musulmano era avvelenato e non vacillava... Non si capì più nulla di ciò che succedeva all'interno... era come se un maroso fosse andato ad infrangersi contro uno scoglio...”.
È innegabile che in ogni tratto narrato nel racconto/documento, vi sia fulminea orma di potenza visiva, compare fra i periodi scritti la scenografia, che forse è consapevolmente e sapientemente costruita o che forse per la peculiarità stessa dell'autore, ha il canovaccio specifico del film. O forse è il fatto che le vicende narrate, con cura di particolari, sono crono-storicamente uno spaccato di vita carcerario/sociale, e conseguentemente politico del nostro Paese, di interessante analisi attuale e di fatti specifici che sottolineano comunque e sempre lo scompenso tra il mondo di dentro e il mondo di fuori.
Nel contesto di vita carceraria dove sicuramente ogni “ospite” che sia il recluso o il poliziotto penitenziario o il personale dirigente o di altre cariche, ha le sue peculiarità e le sue vicende personali, qui ben evidenziate dall'autore nei particolari descrittivi di importante valore analitico. Che sia il citato ispettore Poloni e la sua personalità, il personaggio fotografato in uno dei tanti capitoli o lo sia Alfio, il detenuto o altri ancora, nel soggetto letterario narrato ogni essere umano ha la sua forte identità ed impronta, nel contesto delle mura penitenziarie. Tutte sotto lo stesso tetto di un edificio vacillante.
I disagi di una struttura da ristrutturare colpiscono maggiormente la persona e la personalità del carcerato che con lo scorrere del tempo si uniforma ad una unica trama, livellando il proprio io alla struttura, demolendo le proprie capacità fisiche e psichiche, sfocianti poi quasi obbligatoriamente in piaghe come l'alcolismo, dipendenza da psicofarmaci e in ogni annichilimento che innescano dinamiche potenzialmente distruttive . È questo che l'autore affronta con la caparbia e indomita indole (che pure lo ha portato a saltare il fosso da rappresentante della legge a fuorilegge per ritrovarsi ora a strenuo difensore delle stesse leggi). Quanto è l'imperativo che si vuole evidenziare nell'operato è il mettere in evidenza i disagi che si possono superare con l'applicazione delle Norme esistenti, fermare la stupida macchina tritauomini, equilibrare il rapporto tra legge ed essere umano (recluso o dell'organico carcerario), che pure fu la battaglia del direttore Makovec e di chi come lui hanno sempre promosso la campagna per un carcere costruttivo, formativo sotto il profilo umano e professionale, c'è bisogno di un travaso culturale, il “Sentiero dei camosci” stesso espone in un colorato narrare le vite del mondo carcere, quali siano le risultanti di una discrasia della società. Non vuole essere critica feroce, non ne ha l'intento, ha piuttosto valenza documentale, il P...., con la sua empatia si offre come strumento conoscitivo delle carceri, vuole presentare altre figure affinché la società rifletta sulla valenza umana e discosti la figura di carcere come luogo del non ritorno alla primaria condizione di cittadino.

Prefazio “Qualcosa” di Giovanni Polidoro Bernabeo

È con questa opera finemente posta, nella forma, nell’ eleganza del concetto, nella penetrante  trasposizione della recondita e profonda indagine interiore, che Giovanni Polidoro Bernabeo porge al lettore una minuziosa lettura del Sé, e come in una superba cornice, ognuno di noi scorge la propria immagine, il proprio status intimo a cui fino a “Qualcosa” non ha saputo concedere voce. Va a Giovanni Polidoro Bernabeo la capacità di aver tradotto in autentica Poesia luoghi interiori che ha saputo e voluto frequentare, fissando dall’ esterno la psiche che, pur se appartenendogli, ha ardito osservare dal silenzio della propria condizione di uomo; così come negli stessi meandri dell’anima, si è immerso, e navigando nei suoi fiumi occulti, ha incontrato il Sé: l’Io superiore, e lo ha accolto e avvolto nella magia dell’alchemica unione di Psiche, Pneuma e Soma.
“Qualcosa” è una Opera che non ha bisogno di ulteriori parole se non i suoi suoni stessi, distesi in ogni voce articolata, che rigo per rigo effondono le armonie del vissuto, le consonanze della condizione umana alla ricerca e all’ incontro; lo spartito della Vita su cui l’autore ha saputo porre le giuste note, rifinendo quel pentagramma che ha creato la musica: spartiture che involgendosi e svolgendosi in armonie e sincopi e lente cadute di note, l’una nell’ altra, e ora struggenti ora blandenti, raccontano l’esistenza.



Annamaria Vezio

Prefazione de: L' attimo di Laura Di Vincenzo e Nicolò Castelli

Quando si parla di poesia entriamo in un campo di difficile lettura, tante sono le correnti che abbracciano l'argomento, e potremmo disquisire dell'arte poetica fin dagli albori, passando attraverso i secoli e le ere con le proprie espressioni del sentimento. Camminiamo in un ampio e fertile terreno che ha, con lo scorrere del tempo nella società, man mano cucito, scucito, ricamato, minimalizzato e poi spogliato il lemma a seconda dell'evoluzione del pensiero e quindi della comunicazione stessa dell'emozione, modificandone conseguentemente lo stile fino ad arrivare al verso  libero dei nostri giorni. Leggendo “L'attimo” mi par di inoltrarmi in uno stile che molto ha dato alla poesia d'amore: la poesia cortese. L'amore cantato, elaborato, delle corti provenzali che tanto ama rimare passioni assolute, inappagate e dominanti, da pretendere innanzitutto il perfezionamento morale da esporre poi con estrema raffinatezza formale oltre che con ricercati artifici stilistici. Non è certamente artificio stilistico che troveremo nella silloge di Laura Di Vincenzo e Nicolò Castelli, se pure l'autrice elabora con l'autore le strofe che hanno poi dato luce ad un ottimo lavoro a quattro mani. È quel sentimento di ricerca morale nella passione espressa, l'interrogativo spirituale che si pone mete alte, che ci avvicina al pensiero di Poesia Cortese, per la gentilezza dei versi che pure comunicano passioni, e forse proprio per le passioni che sfuggono armonicamente fra le strofe, e accarezzano l'intelletto e l'anima del lettore, che ogni lirica ci accompagna per mano, nel silenzioso eppure turbinoso mondo dell'affezione, del desiderio, dell'ambìto e forse mai raggiunto amore/ amato.
Ma allo stile della poesia cortese, che intravvediamo nell'opera dei due autori, si sono miscelate altre code letterarie che scivolano dal XII° secolo al XX°, fino appunto, alla rima libera di cui in L'attimo, si ha molto rispetto, tanto che ne sentiamo il suono musicale che accarezza una metrica sciolta e affascinante. Laura Di Vincenzo e Nicolò Castelli, pur venendo da estrazioni culturali diverse, hanno trovato la formula vincente convogliando due stili diametralmente opposti, sicuro ed evocativo quello dell'autrice, ritmato e discontinuo se pur con tema uniformante come un componimento jazz, quello dell'autore. Le due combinazioni riescono ad amalgamarsi attingendo da una stessa visione interiore del sentimento che qui appare omogeneo e continuo, tanto da dare idea che ogni poesia della silloge, sia sentita pensata ed espressa da unica persona.
E' di grande fattura l'opera, degna di riportarci alla poesia del XII° secolo, alla quale sono stati aggiunti il colore e l' etereo di cui l'arte poetica dei nostri giorni è esaltata. Ne L'attimo, due menti, due anime e due corpi hanno raggiunto l'altezza di una unica voce, la voce dell'anima.




Annamaria Vezio

Prefazio L' attesa di Laura Bellanova


È iniziato il cammino nel misterico mondo dell' Attesa, con passo lieve nei colori sfumati dell' unione madre – figlio, Laura documenta i momenti che l'avvolgono nell' enfasi dell' incontro. È amore che ad amore, e di amore parla. Ogni scatto è una pennellata di Vita preposto a viversi l' uno nell' altro, ora, durante l' attesa, e dopo, quando la pelle il calore il profumo le note il sangue, continueranno ad esser unicità se pur in due corpi distinti. È gloriosa Madre che ascolta e ammira il suo corpo divenuto culla di vita nuova, l' attimo dopo attimo che manifesta la grandezza della Maternità, del miracolo che accompagna un bimbo nel suo nuovo luogo di esistenza: nella realtà premurosamente preparata, momento dopo momento per lui. E lo fissa in un meraviglioso carnet che ci avvolge nella condivisione di una esperienza unica. Ogni passo è immagine, ogni pensiero è fermato dalle parole e dalla voce del fotogramma. Sam è qui, è il miracolo di cui Laura ne rapisce la dolcezza e ce la porge con mani attente ingentilendo la nostra anima con la sua. Guardiamolo, attraverso le figure, durante il suo celato percorso nel ventre, e ascoltiamo la soavità del pensiero di mamma che ci narra il sommesso dialogo della Vita.
- “I vostri figli non sono figli vostri. Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di se stessa” -

Laura cita il saggio concetto di Gibran, nella consapevolezza di essere comunque lo “strumento di vita”, l' arco di cui il figlio è freccia di “vita”. Ma quanto amore, essere quell' Arco!

Benvenuto Sam, amore di mamma e papà.

Annamaria Vezio

Prefazio Il giocoliere di parole di Nicolò Castelli

“Il giocoliere di parole”, mai titolo potrebbe essere più adatto alla silloge che ne porta orgogliosamente il nome, il padre, l'autore Nicolò Castelli, ne ha reso una felice creatura.
Ogni lemma è una scoperta della strofa che egli riempie del colore dell'amore, e scivolando poi lietamente in prosa poetica, ne canta il languore, la mestizia, il dolore. È Amore il motore che muove l'opera del Castelli, ma non solo, irrora il sangue che circumnavigando l'anima come vela in preda alle turbolenti acque di un oceano, si ritrova ad essere rapita dalle onde e con esse danza il turbamento d'amore, ora in note concitate, ora nelle note lente di un mare cullato da un sole all'orizzonte e poi ancora, all'onda successiva sprofonda nel blu cobalto, buio e ignoto, di acque dal sapore del dolore, dell'abbandono, dell'amore ambito e mai raggiunto. Naufrago del cuore suo stesso, l'autore coglie ogni suo smarrimento e come antico alchimista, lo trasmuta in nutrimento, il suo nutrimento dell'anima: l' Amore e la sua poesia.
La Musa ispiratrice è lì, fugace e irraggiungibile, ora ha voce suadente e flautata, e mollemente si adagia a provocare i sensi, ora si nega lacerando il cuore del poeta. Ma sempre torna a carezzare i sogni, a risvegliare il bisogno atavico della presenza del femminile a completare il maschile, a rendere le ore del giorno, di ogni giorno, una conquista di gioia e serenità. Non sa fermarsi tuttavia, la musa, lasciando così l'autore nella disperazione dell'abbandono che egli canta con la stessa passione che divorava Dante per la sua ispiratrice d'amore, Beatrice. Lo stesso amore e la stessa passione, il Castelli invero la riversa anche ai luoghi che carezzarono il piede del Sommo Poeta, invaghendoci delle struggenti strofe dedicate alla bella Firenze come fosse essa persona, donna palpitante, degna di accogliere il gran sentimento dell' autore, e al suo fiume Arno che come infante le lambisce il seno. Se pur in alcune poesie e prose, ci imbattiamo in espressioni ermetiche, è chiara e diretta la comunicazione emotiva ed evocativa dell'autore che fa ampiamente uso di un linguaggio immediato e lineare, come foss' egli aedo del sentimento, e novello menestrello d'amore lo porge al nostro orecchio interiore inabissandoci nella fervente favella, rapendoci.
È un libro da leggere per far dono a se stessi di un momento di tenerezza tormento trasporto passione mestizia potenza, perché sono Amore, l'Amore e le sue manifestazioni: essenza delle note traspose in lemmi in Il giocoliere di parole.

Annamaria Vezio