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Calliope

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Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

domenica 11 gennaio 2015

Recensione Sculture di Fabrizio Maiorelli

In attesa di una ennesima mostra di Fabrizio Maiorelli, mi ritrovo a dover parlare di lui, non sono al corrente delle sue situazioni di vita o del suo carattere, è per me una persona sconosciuta, ma credo, per contro, di averne visto le sue profondità attraverso le opere, la sua miglior biografia, la sua più chiara immagine.
Non vi è informazione o discorso od esposizione più vera dell’operato di una persona, è in ciò che crea che si svela l’essenza. Il sottile rapporto tra il reale materico e l’immaginifico in continuo fermento, fa di Fabrizio un artigiano del pensiero ed è di questo uomo aperto che posso dire di conoscerne ogni sfaccettatura, l’ artista di cui posso parlare grazie al suo operato. Sono i suoi lavori a parlare di lui, a me, a voi, a tutti coloro che si soffermano a guardare una sua creazione, è negli sguardi delle sue sculture che incontriamo lo sguardo di Fabrizio, è nelle manifestazioni di ogni volto che c’è quella dello scultore; un suo momento interiore, una sua espressione la vediamo magistralmente materializzata ora su pietra ora su legno, Fabrizio Maiorelli è qui davanti a noi, in questi corpi, in queste ali di aquila che molto spesso incontriamo volutamente malcelate nelle pieghe del legno o della pietra, egli ha accarezzato con la sua anima ogni centimetro e la ha impressa in tutte le sue creazioni.
Tutto ciò che parte dal mondo interiore, e attraverso le mani si incanala e si esprime, è la netta visione del tessuto dell’ artista, la creatività è la parte più intima, più vera, non ci sono maschere sociali a presentarlo. Nelle nostre opere non possiamo nascondere nulla, tutto è rappresentato, tutto l’animo è esposto e visibile agli occhi di tutti.
Paradossalmente, io definisco tutto ciò “umiltà”. Umile è il puro, è colui che è in armonia con la Vita e con se stesso e non ha timore a mostrarsi, ciò che di esso si vede è solo bellezza. Fabrizio non ha timore di spandersi e plasmarsi nelle sue sculture ed è per questo che le rende vive, ha così trasmutato ora la pietra, ora il legno nella sua stessa essenza e ne ha dato compimento.
Mi soffermo ad esaminare ogni opera di Fabrizio Maiorelli e mi rendo conto che è come smarrirsi nei meandri di mondi sommersi dove la magia dell’ io avvolge non solo lo sguardo, ma tutto l’essere di colui che si sofferma ad ammirarla. Io ne sono rimasta incantata e mi sono lasciata rapire.
È grande la potenza nella discontinuità di stile dello scultore, ogni manufatto generato dalle sue mani è la materializzazione di una intima visione di quel momento specifico, di quel campo visivo che è delineato solo nella sua anima e che con enfasi si tramuta in forza prorompente della materia.
Sono colpita dalla diversità che si rileva nelle forme e che è invece unicità del sentire, dalle ridenti divinità di fattezze andine ad altre che richiamano alla memoria divinità egizie, alle morbidezze del fiore di ibiscus o dei capitelli di varie fogge e stili architettonici, per non parlare della magia dei volti archetipici degli gnomi dall’ espressione di antichi saggi risvegliati da un sonno eterico ed eterno; parlano, essi parlano, pietra e legno raccontano una parte di vita sconosciuta ai più, ma palese all’artista: la saggezza arcaica del mondo interiore, del mondo sommerso dai rumori della civiltà moderna, del mondo che ancora ha molto da dire ed affida al Maiorelli il suo messaggio.
In tutto vi è un richiamo a terre antiche e lontane e se pur nei bassorilievi possiamo vedere luoghi reali e contemporanei, ogni onda dello scalpello nasconde una ruga misteriosa; contemplo il passo della Raticosa e varco con la fantasia il confine di Montebeni ma lo sguardo si imbatte in piume di ali, mi soffermo, l’orizzonte delineato dalla morbida curva del monte è un’aquila, il monte è un’aquila protettiva e forte. Quale simbolismo è velato in questo bassorilievo? Forse il pensiero di Fabrizio stava seguendo un suo dialogo fatto di parole antiche con il legno che si porgeva per lasciarsi manipolare e divenire ancor più vivo.
E il legno è divenuto parola.
Ho visto il poliedrico artista con martello e scalpello sbozzare la pietra mentre una testa di donna bellissima si materializzava sotto le sue sapienti mani e gli ho chiesto se non sentisse un lamento di dolore della creatura che faceva capolino, ho studiato le sue reazioni nell’ attimo che anticipava la sua risposta, poi ha abbozzato un sorriso che lo ha illuminato ed ho capito cosa accade fra lo scultore e la sua pietra, mi ha permesso di intravvederne l’ omogeneità. In quegli attimi di creazione, creato e creatore sono in simbiosi.
La grandezza di Fabrizio è questa dote di fusione di se stesso nei suoi capolavori. Non sono le scuole che insegnano l’ amore che unisce la Natura all’ Uomo, è l’Anima la maestra, il nostro artista ha carpito i segreti della materia e ne è diventato amante e precettore.
La scultura di nudo femminile mi ha assolutamente affascinata non solo per la perfezione delle forme, questo è merito della lunga esperienza del Maiorelli, ma soprattutto per l’ esplosione vitale che esprime: è serena, sorridente, pura nella sua nudità, e qui si torna al concetto della umiltà uguale a purezza, umiltà uguale ad essere in pace con se stessi e con il cosmo, essere essenza nell’essenza, essere l’ anima della materia. La sua nudità è pace, è sicurezza di essere nel punto giusto della vita e di camminare con essa senza ritrosie, con amore puro e universale. Allora, mi domando: se ogni opera è specchio di chi la crea, Fabrizio Maiorelli è una variopinta tavolozza di vita, una serena armonia, una nuvoletta danzante nell’azzurro che afferra ogni memoria arcaica e la trasporta negli oggetti che nascono dalle sue mani. È un puro, ed è per questa sua condizione che Fabrizio è in contatto con sorella Arte, e grato, le rende onore concedendoci di ammirarla.
Per la validità dei manufatti, dovrei soffermarmi su ogni specifico lavoro dell’artista, ma non mi basterebbero i fogli per parlarne, tanti sono e tanto danno da pensare e da dire; per amor di sintesi, posso accennare solo allo strumento che li modella, e che è il Maiorelli nell’ espansione di se stesso. L’ impronta unica della sua vena artistica, anche nelle opere più classiche è da ricercare nei particolari in cui l’artista dona il sé interiore attraverso l’ esperta manualità.
Nei monumenti scolpiti e donati, il movimento della pietra racconta più delle figure rappresentate, una storia enunciata da ogni effige e da ogni particolare, così come nella scultura commemorativa agli Alpini, fra le tante che mi hanno estasiata (anche qui un’ala di aquila ammicca fra le pieghe della pietra); nell’opera data in dono all’Arma dei Carabinieri tutto il simbolismo è ricreato con una maestria tale da spingere l’ immaginazione oltre il visivo. Come fosse un Ciano bifronte, l’opera si mostra in interezza.
È una delle caratteristiche di Fabrizio Maiorelli quella di parlare attraverso la forma, e come fossero acquerelli di colori soffusi e non materia grezza plasmata, quanto manipola, il suoscalpello sembra essere pennello che spalma linee delicate e vellutate.
È ammirevole il suo operato, alto, completo e vivo, realizzato con straordinario virtuosismo tecnico; i lavori scultorei sono caratterizzati da una mirabile sintesi dei valori di armonia e perfezione formale oltre che di rigore prospettico, ed il tutto amalgamato di estrema capacità di trasposizione di emozione.
Mi ripeto e mi è obbligatorio, ogni opera dell’artista è materializzazione di memorie arcaiche, è forma di pensiero fuso nella sua anima, e se mi perdo nella contemplazione di ogni scultura, perdonatemi, quanto vedo è magia.
Grandezza e magia.
Annamaria Vezio

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