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Calliope

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Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

domenica 11 gennaio 2015

Recensione“Graffio d’Alba” di L. Vallati

Leggo “Graffio d’Alba” con la predisposizione di gustare il libro di un amico, non ho bisogno di concentrarmi particolarmente perché è fluente, intrigante. Scorro rigo per rigo fine alla fine e mi rendo conto che va oltre la semplice storia di fantasia, l’opera di Lenio Vallati è una saggia narrazione di una involuzione sociale che sfocia in una evoluzione, un menager costretto da una situazione contingente al fallimento lavorativo, a scegliere la via forse più drammatica di cambiamento, strappato nell’anima per tale scelta, si inoltra nel substrato della società “… è passato un anno o quasi da quando sono andato via. Dodici lunghi mesi. Non sembra ma sono qui, tutti stampati sulla mia faccia, uno ad uno… la lametta bic ha forse tolto qualche giorno dal mio calvario e questi vestiti nuovi che indosso, servono solo a mascherarlo…”
La narrazione in prima persona è strategica per la lettura del racconto, essa prende il lettore e lo trascina nello sviluppo dei vari strali che compongono tutta la storia e quindi di entrare nel tessuto umano, nelle debolezze che albergano in ogni essere e che per dignità, discrezione o timore, non esterna “…davanti alla spiaggia della mia rovina… come spiegarlo ad Elena?... non c’era più niente da fare… bisognava scomparire…”
Lenio Vallati ha indossato l’habitus dei senza tetto ed ha percorso per noi ogni passo del loro cammino, della loro realtà e molto di più. Davvero molto di più poiché questo suo viaggio nella miseria è in realtà un viaggio verso la consapevolezza, momento dopo momento alla scoperta di un mondo interiore popolato di emozioni mai incontrate seppure trama del DNA della specie umana. La descrizione di ogni scoperta è narrata con lo stupore del bimbo e con altissima poesia “ … allora speravo che venisse presto l’alba per fuggire ancora, per correre più veloce del mio dolore e seminarlo definitivamente…” e, alta poesia e profonde riflessioni in “…anch’io rinasco ogni giorno, anch’iosono un’ umile parte della natura… è bello osservare ogni dettaglio di questa natura che pulsa intorno a me, la gente passa e non osserva… la vita, spesso è lei che sceglie noi, possiamo solo adeguarci ai suoi capricci… riscoprirla nelle piccole cose che sembrano non avere senso, nei ritagli di dolore che tornano a tormentarti l’anima...”
È anche e soprattutto la scoperta di una realtà sommersa quella che l’autore porta alla luce, una realtà ammantata dai luoghi comuni a cui siamo talmente abituati da non vederne più le tracce profonde in cui, pure inciampa il nostro vivere superficiale.
“… la notte dormivamo insieme, uno accanto all’altro, Gino russava sommessamente e a volte mi costringeva ad allontanarmi di qualche metro… poi non feci più caso al suo russare così come non sentivo più il rumore dei treni che sferragliavano a poche centinaia di metri da noi…”
La dignità perduta, il bisogno, diventano un sipario aperto a nuove scenografie, la strada, le sale d’attesa della stazione, le panchine e i marciapiedi sono il palcoscenico. La vita è cambiata, il sipario si è alzato su una nuova Opera. Lorenzo non è più il dirigente di industria benestante, è Gino il barbone, colui che coglie l’attorno e ne colora le pagine.
“… cosa ci da la forza di vivere? Cosa ci spinge ogni giorno a ripetere i soliti movimenti in cerca di cibo o di un rifugio per la notte? Cosa ci aspettiamo dalla nascita di un nuovo giorno, che qualcosa cambi?... poi ci rendiamo conto che non è così, ma intanto un altro giorno è trascorso e un altro ancora si delinea tra le imposte dell’alba… siamo  come il venditore di almanacchi di Giacomo Leopardi… “
Lorenzo o Gino sono sempre la stessa persona, è l’evidenza che cambia: quell’uomo è un uomo a prescindere dall’abito che indossa, con la propria storia, ma con comuni esigenze.
Grazie alla scrittura semplice e chiara se pur completa di particolari, ogni lettore viene inoltrato e accompagnato nell’avventura di Lorenzo/ Gino, l’uomo che ha scelto un percorso di vita decisamente particolare.
L’autore tratteggia con estrema maestria i personaggi e i luoghi incontrati, le vicissitudini, le storie personali dei suoi compagni di viaggio come fossero realmente la propria storia.
Grande è la compassione per il prossimo, la definirei il collante del racconto, l’amalgama in cui ogni capitolo è delicatamente appoggiato, pur essendo la trama, lo spaccato di una realtà avvilente. La grandezza del Vallati si trova proprio in questo suo narrare quel vivere ai margini del nulla ed avere un’anima, rinforzarla e dipingerla di poesia.
Ogni pagina è pregna di sottile osservazione e saggezza, non sfugge all’autore il più piccolo particolare, che si tratti dell’orto dell’amico Oreste “…non si capisce bene quale parte contenga l’orto e quale il frutteto, le due aree sembran omischiarsi insieme. Gli alberi da frutto si toccano per quanto sono vicini e i solchi, dove troveranno sede i pomodori e i peperoni, li circondano…”  o di un più emotivo particolare letto sul viso di Alisa “…mi fa capire che non è facile raccontare cose che provocano ancora dolore, che non sono ancora state sepolte nel cimitero dei ricordi, che si ergono ancora come fantasmi nella vita presente…”
Ma si nasconde anche la palpitazione d’amore fra le colorate pagine in cui si intrecciano i personaggi, e l’autore ci descrive questa sensazione avvolgendoci nel gioco di sguardi
“… ecco, si volta, mi guarda, sembra che si sia accorta di me… è un attimo, un infinitesimo frammento di tempo, eppure lungo abbastanza… un lampo, il flash di un fotografo, lo spazio di un sussurro… sento un tuffo al cuore…”
Continuerei a citare decine e decine di momenti illustrati in“Graffio d’Alba”, ma non voglio rivelare tutta la magia del racconto, è giusto che il lettore ne goda la scoperta pagina per pagina, però un’ultima perla, prima di lasciare questo mio umile pensiero sull’opera di Vallati, sono costretta a dirla perché è superba la descrizione del graffio d’alba da cui il libro prende iltitolo: ” sul volto mi era rimasto un segno che non si sarebbe più cancellato, come un regalo appena accennato scavato dal gelo della notte: un graffio d’alba”.
Annamaria Vezio

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