Troppo spesso, nella carriera di critica, mi accade di imbattermi in autori contemporanei di cui la produzione, se pure di buona valenza lessicale, contiene una sorta di malcelata auto-proclamazione a “scrittore/poeta” e ben poco, in realtà, tali scrittori/poeti hanno da comunicare se non il racconto di se stessi e per se stessi con, purtroppo, nessuna finalità o peculiarità né ludica né istruttiva che possa accarezzare il lettore nel tenere il suo libro in mano o almeno lasciare un buon ricordo dei momenti passati con esso e la sua vita, leggendolo. Il nostro periodo culturale ci induce ad allargare gli orizzonti e quindi a riscoprire il valore della parola scritta, e sarebbe senz’altro cosa buona se tale atteggiamento fosse cagione di nutrimento: scrivere o meglio descrivere la valenza custodita nell’interiore quale tesoro di saggezza, non può che arricchire il lettore; ma, esiste un ma. Siamo presi dalla grafomania intinta nel narcisismo e buttiamo giù a vanvera ogni qualsivoglia pensiero rivestendolo di posticcia “importanza metaforica o di grandiosità poetica” e come imbonitori da mercatino per tale “importanza e grandiosità” la rivendiamo.
Siamo caduti nell’eccesso e come in ogni eccesso, ci ritroviamo infine storditi e forse disgustati da un mercato gravido di merce e povero di qualità.
Leggiamo per regalare a quel tempo di attenzione ad un libro, attimi di evasione, di partecipazione, di simbiosi, di emozioni da risvegliare e da vivere e rivivere. Nella narrativa e generica letteratura contemporanea è scarsa la possibilità di incappare nella sinossi di queste qualità che pure fanno di un libro un prezioso tassello di vita altrui che è comunque anche nostra, questa vita in cui siamo, volenti o nolenti, protagonisti e coprotagonisti, vita di cui ne percorriamo le vie per mano dello scrittore che ci conduce a conoscerne gli ostacoli e le gioie che renderanno più agevole l’andare personale; ma foss’anche solo la consolazione di aver vissuto un “tempo bello” che l’autore ci regala con le sue parole, un libro vale la lettura. Forse, è questo il merito di un buon libro.
Il preambolo, obbligatorio, scaturisce dal mio profondo coinvolgimento nella lettura di "Loro, l’Oro", è qui, in questo libro, anzi in questo scenario aperto, che ho riscoperto l’ esultanza di soggiornare in esperienze di esistenza superbamente dipinte.
Ho iniziato a leggere questo libro solo per l’impegno preso a visionarlo, ed invece mi sono ritrovata risucchiata in esso e ad esultare attimo dopo attimo, parola dopo parola fino a sentire il bisogno di sottolineare compulsivamente con la matita ogni periodo, frase, termine, che hanno la capacità di evocare l’immagine e la realtà di quanto l’autore espone con un lessico variopinto, con la parola che è suono, suono che è emozione.
Vittorio Rombolà beneficia della non ancora coniata contrazione di più termini atti a sintetizzare la felice sintesi della sua capacità espositiva: parolasuonocoloremozione.
Che si tratti di forte pathos o di ridente allegria, quel che si legge lo si sente con l’udito e con ogni fibra del corpo e dell’anima, e lo si vede. E vediamo con gli occhi della mente, Anaya ricurva su stessa, e sotto la sua ombra, i colori del fango e del sangue in un divenire di poltiglia rossa rinvigorita dalla pioggia, il mistero e il miracolo, la maledizione e la benedizione di una vita nuova, un bimbo nasce comunque e nonostante tutto, nonostante la miseria i flagelli la barbarie di una cultura di oscurità recrudescente.
Gli odori misti alla pioggia o esacerbati dalla siccità, si innalzano dalle righe/dipinto e si coniugano con l’istante, con il nostro, con noi che siamo lì, non più lettori ma compartecipi della storia che stiamo vivendo seduti sotto il grande albero, il baobab, il trono di Zenaba, e insieme a lui, nel suo sguardo il nostro vedere.
E sentiamo gli urli di dolore fisico, straziante di Fara, l’infibulazione è una pratica urlante che a piena voce sta denunciando se stessa; e dai fogli s’eleva perfino l’ovattato suono dell’accasciarsi di Raha, si ode altresì il lento e delicato movimento delle ciglia che si abbassano sugli occhi della bimba. Non abbiamo bisogno di grande fantasia per immaginare ciò che leggiamo, ci siamo dentro, siamo invischiati nella trama.
… E le mosche nere che ronzano leste, assillando corpi smunti e flosci, quasi succhiandone, da ogni orifizio, gli ultimi aliti di vita e le residue parvenze di dignità umana… sto sentendo, io sto sentendo il loro ronzio, e sono mosca e con la sua vista vedo il corpo che sto martoriando col mio noioso vagare sulle membra; sono il corpo, io sono il corpo stanco e rassegnato nel malessere della presenza di queste ospiti nere che, più tenaci di me, non concedono tregua.
Eppure sono pura, sono il bimbo che ovunque il suo corpo abiti, è puro. Le angherie sporcheranno i miei spazi, ma il mio interiore mi concederà sempre di vederli e sentirli con l’ingenuità e il candore di cui ogni Cosa è, nonostante tutto, pervasa.
L’intercalare di pagine amene sollevano dalla resa all’enterico emozionale, e levitando, fasciati dal sorriso che germoglia nella sfera pulita dello spirito bambino, riporta la partecipazione del lettore, già ai massimi livelli, nei luoghi dell’esilarante ironia che ben trasfigura i colori pastosi e profondi del dolore, in bianco candido, in riso tenero, nel sorriso del cuore.
Nella leggerezza della parolasuonocoloremozione, il sigillo dell’infanzia, la consapevole responsabilità dell’autore che è - l’oro- di cui siamo tesorieri, e con accoramento e maestria ci esorta a prenderne reale coscienza, mostrandoci eccezionali spaccati di vita egregiamente plasmati nel suo libro, capitolo per capitolo, ad ogni personadedicato.
Tutta la mia attenzione è carpita dalla grandezza descrittiva, dalla magia: tessuto dipreziosa fibra dell’autore che come peplo pregiato m’avvolge e mi rende persona dipinta nell’ affresco delle sue pagine. Ho usato il termine specifico “persona” e non “personaggio” ché Vittorio Rombolà non crea personaggi a cui dare un ruolo in una fiction, Vittorio ha delicatamente trasfuso persone del nostro tempo, sciogliendole in monogrammi che hanno composto parole e frasi e periodi, e li ha fissati nel tempo in evoluzione avvalendosi della punteggiatura. E ne ha partorito il librosonorovisivo, mi viene così spontaneo ed urgente coniare nuove contrazioni di termini leggendo Loro, l’Oro che è dovuto chiederne scusa ai grandi della Lingua Italiana, ma pur nella consapevolezza del mio osare, resto della stessa posizione per quel che concerne le definizioni che continuo ad affibbiare all’Opera dell’autore, non esistono termini che possano manifestare le qualità di quanto in questo testo vi è enunciato, urlato, sussurrato, cantato, dipinto.
Non voglio esporre né declamare il magnifico contenuto di Loro, l’Oro, non spetta a me spogliare le persone per metterle nella condizione di intendersi con “le persone” ospitate nel libro: la nudità, l’essenza, l’anima a cui si deve propendere per “capire” la Vita, la impariamo consegnandoci ad ogni rigo che Vittorio ha estratto dalla sua coscienziosa purezza e, con umiltà, per mano dell’autore, potremo addentrarci nel mondo che pur se nostro, ci passa accanto silenzioso e celato dall’euforia della confusione ovattata del vivere quotidiano: l’indifferenza.
Qui, solo la mia grande partecipazione emotiva ed intellettiva ad un’Opera che merita di essere letta a larga scala, affinché ognuno possa carpire, fare proprio e diffondere quanto pur guardando non sappiamo vedere, e vedere significa Esserci. Vittorio Rombolà c’è, è nella fibra più vibrante dell’esistenza e vuole beneficiarci delle sue onde benefiche.
Grazie Vittorio Rombolà per la saggezza da cui catturi le tue parole e le traduci per noi in comprensibile linguaggio.
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