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Calliope

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Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

sabato 8 ottobre 2016

CONFESSIONI IN PARADISO di Sergio Casagrande


Il vecchio angelo compì con l’indice una carrellata tra le anime raccolte sotto la chioma dell’albero, i cui fiori profumati inibivano qualsiasi tipo di menzogna.
- Tu. Mi sembri impaziente di conversare. Hai superato brillantemente il turbamento dovuto alla morte terrena… infermiera se non erro. Sei davvero splendida - si lasciò sfuggire l’angelo- in quel bianco abito nuziale.
- Ti ringrazio del complimento. Ho voluto, nel giorno della mia morte terrena, ricordare il più bel giorno della mia vita, quando mi sono unita in matrimonio con il mio principe azzurro. Un uomo buono e intelligente che ha saputo trasmettermi valori e principi che, ahimè, in questi tempi sono andati purtroppo miseramente perduti.
- Cosa vuoi, sono qui per darti soddisfazione. Dimmi piuttosto: sei stata promossa caposala, grazie alla tua professionalità naturalmente.
- Alla mia abnegazione. Al trillo del campanello accorrevo fulminea, a volte scontrandomi con le mie indolenti colleghe; intuivo sempre con un certo anticipo i bisogni e le necessità dei malati. Portavo ai vecchietti il pappagallo pulito, una parola di conforto, un sorriso. Il cappellano dell’ospedale mi rendeva merito chiamandomi “La bella samaritana” e accompagnava queste sue lusinghe con dei caritatevoli pizzicotti.
- Qual era il tuo atteggiamento nei confronti dei colleghi?- chiese l' angelo.
- Irreprensibile. Un semplice saluto per pura educazione. Solo con suor Clementina qualche volta mi aprivo: la supplicavo di lasciarmi lavorare ancora una mezz'oretta alla fine del turno. Avevo dei fioretti arretrati, e poi non sopportavo tanta sofferenza. Consideravo il mio lavoro non solo una missione, ma una crociata contro il dolore.
Gli occhietti dell’angelo sembravano diventati ancora più piccoli, e con estremo disappunto si lisciò con una mano la fronte corrugata. Guardò all’insù e si accorse che i fiori di quella parte dell'albero, che sovrastavano l’anima, erano ancora in boccio e non emettevano alcun profumo.
-Ti dispiace Gisella di spostarti verso destra, di due metri? Anche quassù a volte tira una brutta aria…
L’anima dell’infermiera acconsentì alla richiesta e si avvicinò all’angelo.
- L’età a volte mi fa dei brutti scherzi, il mio udito non è più quello di un tempo, mi potresti per cortesia ripetere tutto dall’inizio? Vediamo... il brillante esito dell’esame…
- E’ stata una scelta di vita - rispose l’anima, schiarendosi la voce- ci sono arrivata per gradi.
- Un po’ alla volta, intendi dire?
- No, proprio per gradi, nel senso geometrico.
- Non afferro il nesso.
- Semplice, ho utilizzato l’apertura delle cosce.
- Ampiezza determinata dall’avvenenza dei dottori?- L’angelo si guardò attorno per controllare se ci fossero anime minorenni.
- Non capisco.
L’angelo aveva invece compreso alla perfezione, ci voleva ben altro per confondere una vecchia volpe come lui, ma era sua intenzione che la narrazione fosse la più chiara possibile in modo tale da renderla di facile comprensione anche alle anime candide. “ Ma ce ne saranno ancora?” pensò.
- È lapalissiano: - continuò l’anima della giovane infermiera- geometria applicata. L’angolo acuto lo riservavo ai medici del pronto soccorso, ancora alle prime armi. Il retto era destinato ai dottori di mezza età, dai trentacinque ai quaranta, pronti al decollo. Erano decisi a tutto, non potevano commettere errori, la concorrenza era spietata. Importanti erano le raccomandazioni, le conoscenze politiche, le relazioni sociali. Ho conosciuto un medico niente maluccio a letto e amico del Presidente della Provincia che si è visto stroncare la carriera a causa dell’aspetto da lavandaia della moglie. Riguardo l’angolo piatto, questo lo utilizzavo prevalentemente con i dottori di un certo nome, che avevano ottime possibilità di arrivare in vetta. Dovevo prendere delle precauzioni però: queste amicizie influenti potevano provocare ingiuste gelosie e invidie alle mie meno fortunate e bruttine colleghe di lavoro.
- E l’angolo giro?- domandò l’angelo divertito, facendosi partecipe della curiosità delle anime presenti.
- Oh, quello era un’esclusiva del Primario! Quel genio arrampicatore prediligeva ampi spazi; tra l’altro era un viziosetto ed era mio preciso dovere agevolarlo. A un primario, costi quel che costi, non si può dire mai di no.
- Tutto quindi è andato per il meglio.
- Sì, dopo naturalmente la benedizione.
- Del Cappellano dell'ospedale?
-No, il Cappellano era un prete modesto, si accontentava di pochi e furtivi pizzicotti. Il mio uomo era un monsignore ricoverato al reparto urologia, affetto da doppia orchite. Si è trattato di un breve e toccante saluto. Una prolungata e languida carezza alla sua parte malata sotto le lenzuola in cambio della benedizione e … di una buona parola.
- A questo punto hai trovato la strada giusta, in discesa…
- La coscienza me l’avrebbe suggerita, ma la vita nel frattempo si era fatta più cara, il motorino per il maggiore dei miei figli, i jeans e le scarpe firmate, i cellulari… i miei figli sarebbero cresciuti con forti complessi.
- E tuo marito?
- Chi, quel cornutone di metalmeccanico? Portava a casa mille e duecento euro al mese, quando non era in cassa integrazione…
- Prima hai accennato alla mezz'oretta di extra.
- Un innocuo arrotondamento. Ero stata contattata da due titolari di agenzie di Onoranze Funebri, li dovevo avvertire tempestivamente quando un ammalato di un certo tipo si stava aggravando. Era molto seccante, ma a volte dovevo aspettare più del previsto. L’accordo prevedeva un annuncio gestuale all'agenzia davanti all’ospedale, indicando con le dita il numero dei decessi, e una solerte comunicazione telefonica all’impresario più distante e sfortunato. Quest’ultimo, che era anche un fiorista, nonostante la distanza che separava la sua agenzia dall’obitorio, a volte, mettendo a frutto il suo acume, riusciva a soffiare l’affare: i suoi meriti erano indiscussi. Nel momento supremo della morte arrivava come fosse stato un caso, indossando un abito nero. Rimaneva in disparte dai parenti del defunto, muto, con un volto scosso dal dolore e dal patimento. Solo quando il prete alzava lo sguardo al soffitto pregando il Signore di accogliere con misericordia l’anima peccatrice, l’impresario, dopo aversi asciugato le lacrime, sprofondando nella vergogna, sussurrando, balbettando da consumato attore, dopo un breve accenno all’ineluttabilità della morte e al destino ingrato che accompagna tutti gli uomini migliori, mormorava: < Penserò a tutto io, non dovrete muovere neppure un dito… il povero… amava tanto i fiori, vero?>
- Brava Assunta! La tua è stata un’esposizione davvero esauriente, e ne terremo debito conto. E adesso avanti un'altra...

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