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Calliope

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Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

martedì 25 settembre 2012

LA SIGNORINA ELISA (2a Parte Antonio de Curtis)

A conti fatti avrò avuto 4 anni.
Ho una sorella di 2 anni minore di me, quindi allora aveva 2 anni.
Mia mamma era sola ad accudirci …
Allora scuole materne, asili nido … i nidi erano tanti, quasi ogni albero ne portava un paio, ma di asili … nemmeno la parola.
Era difficile tenerci a freno, io più grande facevo il prepotente e scocciavo mia sorella … quando mamma non vedeva. Quella incominciava a piangere ed insomma …
Mamma aveva fatto amicizia, con la a famiglia “nobile” del paese, gente di antico lignaggio, abituata a essere importante … comunque … ed una anzi due componenti la famiglia, zia e nipote, erano maestre elementari e la più anziana, “la signorina Elisa”, insegnava proprio nella scuola del paese.
Signorina, sì, perché non era sposata: bassa, col gobbo, un viso stregolino, benché nobile … non aveva trovato.
Per la verità, c’era stato un disgraziato che,fatto i suoi calcoli, si era fatto avanti … ma lei sdegnosamente: “Quello zotico ? …”
E così era rimasta signorina.
Signorina proprio … da metterci la mano sul fuoco, … quello del camino.
Ma torniamo a noi.
Mamma pensò bene ad un asilo ante litteram: chiese alla signorina Elisa se mi avesse tenuto con lei in classe la mattina.
E così, a 4 anni, finii nella seconda elementare in mezzo a ragazzi tanto più grandi di me.
La maestra mi aveva fatto sedere al primo banco, proprio vicino alla lavagna.
Per potermi tenere sempre d’occhio.
Io a disagio e impaurito stavo fermo e quieto anche se mi scocciavo assai; ogni tanto, quando gli altri scrivevano, io col “lapis” – si chiamava così, la matita - col lapis facevo qualche scarabocchio sul quaderno a quadretti che mamma mi aveva comprato apposta; o mi fermavo a esaminare il calamaio di zinco semipieno di inchiostro infilato nel buco del banco; o la penna col pennino “a cavallotto” del ragazzo più vicino … che faceva macchie se non la intingevi bene … insomma andavo scoprendo quel mondo semioscuro, silenzioso, dove imperava la maestra. La padrona e signora di quei 40 metri quadrati e di quella piccola truppa di ragazzi innocenti.
Ogni tanto mi veniva vicino a guardare cosa stessi facendo … come tenessi il quaderno … aveva sempre qualcosa da rimproverarmi … avevo paura anche di mettermi a piangere … sempre con la sua riga in mano, pronta ad usarla …
E la usava. E spesso. Erano i momenti più tristi, che quasi quasi avrei voluto scappare ma la paura mi teneva inchiodato nel banco.
Mi ricordo di un ragazzo, il più grande, forse 12 anni, “il più ciuccio” come diceva la maestra, figlio del mulattiere del paese. Un ragazzotto, bianco e rosso, l’immagine della salute, alto e robusto, sovrastava la rachitica maestra di un bel po’.
Dalla mia terrazza, lo vedevo passare a volte sul suo mulo, seduto con i piedi pendenti dallo stesso lato, le briglie in mano, la piccola frusta … ogni tanto tirava le redini, o dava una pacca sul collo all’animale: un re sul suo destriero! …
L’avevo visto una volta guidarlo, il mulo, col suo basto di pezzi di tronchi … con sicurezza tra le pietre della collina … e l’animale che lo seguiva docile. Michele –nome posticcio, quello vero non me lo ricordo più – Michele lavorava col padre … tante volte non veniva a scuola … e la signorina Elisa si arrabbiava.
E quando si arrabbiava era botte, e delle peggiori.
Ogni occasione era buona per usare la sua “riga”.
La “riga” era una stecca di legno lunga poco più di 1 metro, larga 4/5 cm e spessa mezzo centimetro. Il terrore di tutti i ragazzi.
Ricordo una volta, Michele alla lavagna, a fare delle operazioni.
Non ci riusciva … la maestra gli si avvicinò e gli domandò la tabellina … diciamo del 6 … quante volte l’avevo sentita pure io quel ritornello:
”Sei per uno sei; sei per due dodici; sei per tre … un pezzo l’avevo imparato pure io.
Michele arrivò fino a sei per sei trentasei, “sei per sette … sei per sette … sei per sette” …
Si avvicinò la maestra “ e sei per sette ? – disse - “sei per sette?”- gridò …
“Sei per sette … sei per sette …”
“Sette bacchettate in mezzo alla mano!” …
Michele voleva tenderla la mano per ubbidire e ma anche tirarla indietro per non subire …
“Stendi la mano!” gridò.
Michele si decise, ubbidì e …paf, paf, paf … sette bacchettate che manco ad un mulo … ad un asino …
Io là vicino tremavo manco fosse mia quella mano.
Guardavo e pensavo: “Ma comme! Michele, ma pecchè non nge dà ‘na vuttata, ‘a sbatte pe’ ll’aria? … nun se puteve purtà a bbacchetta d’ ‘o mulo ? … ”.
“Ma come! Michele, ma perche non le dà uno spintone e la sbatte per aria ?… non poteva portarsi la frusta del mulo … ”.
Ci sono rimasto per 5/6 mesi in quella classe, che mi insegnò ad odiare la scuola e, soprattutto, le maestre.
Correvano gli anni 40. Tanta gente firmava con la “croce”.
La signorina Elisa, lei sapeva scrivere !

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