Storia breve di treni (autismo)
“Silenzi di dentro”
La via dei perché è una tondeggiante lega di metalli che magistralmente serpeggia su terre manipolate dall'essere umano. Millesettecento chilometri di binari ne raccolgono le domande, disperdono le risposte, flagellano le menti nell'attrito di ruote di ferro su binari di ferro spandendo luminose e veloci scintille dai colori dell'iride. Saranno le intuizioni, quelle scintille iridate? Non è così che si manifestano le intuizioni? O saranno le risposte o forse le domande che prendendo colore forma e suono e potenza, si impongono alla mente?
Sono le intuizioni, la tacita voce che bisbiglia all'orecchio di rimando al soffio del respiro che ha esposto nel suo silenzio, la domanda.
È così oggi che dipingo il mio spazio, penna in mano, foglio di carta riciclato (ah, quante cose già passate, finite, restano scritte sul retro di questo foglio!), seduta accanto al finestrino a percepire l' ampiezza che sfugge aldilà della coda dell'occhio. Sì, è così oggi che coloro il mio spazio di viaggio in Freccia Rossa, in compagnia di elucubrazioni su domande risposte e intuizioni. Attenta a ogni leggero suono, mi par di sentire, attraverso le vibrazioni materiche del sedile in pelle ecologica che avvolge il mio corpo, e da questo tek che sostiene la carta su cui scrivo, una preghiera, intensa, rumorosa quasi. Quasi fosse un coro di voci disordinate che vogliono essere ascoltate, forse non sono elucubrazioni le mie, oggi in questo viaggio, sono forse voci rimaste impigliate nelle materie di questo treno, e nei suoni delle voci risaltano termini frequenti:domande risposte intuizioni.
Suoni diversi per voci diverse, una unica nota le accomuna, in spazi diversi e in pause diverse su di un pentagramma di note spuntate, un unico accordo per un unico pensiero: domande risposte intuizioni. E io ascolto. Svello dalla cacofonia ogni altro fonema, e ascolto. Caduta nell'interstizio del legno, una lacrima e il suo disperato perché, perché: del mio cuore s'innalza la marea e straripa invadendo i canali delle orbite per poi stramazzare impudiche fra le ciglia, chi ero io prima di queste lacrime, chi ero io, prima. (Saranno i fiotti di luce veloci oltre il finestrino, a disperdere il viso dagli occhi annegati di lacrime e domande, saranno stazioni anonime e vocianti ad accogliere e rispondere a quest'anima che solo poco fa vedevo e sentivo annegare nel suo perché).
Come il tek su cui scivola la mia anima, avevo lisciato il mio pensiero, ogni venatura un percorso già tracciato attraversato conosciuto, tutto era perfetto, tutto consapevole. La mia vita come il tek, liscio, ordinato, poroso quanto basta per respirare, ma senza interferire con l'aspetto ordinato, essenziale. Oggi è sabato, è giorno da condividere con gli amici virtuali e non, è giorno di abbandono della routine settimanale di lavoro – casa – lavoro, è giorno di riposo e domani, domani è il giorno del pranzo con i genitori, ma prima porto l'automobile al lavaggio come ogni domenica mattina, poi un salto in pasticceria per comprare i classici bignè della domenica da portare a mia madre. Tutto perfetto, ogni venatura del tek è come leggere ogni piega della mia anima: liscia, perfetta, porosa quanto basta per respirare senza interferire con l'immagine interiore ordinata, essenziale.
Una lacrima è caduta nell'interstizio minuscolo, microscopico del tek, e si è aperto un baratro. Un sabato che ha deragliato dai binari ed è divenuto un viaggio, non un giorno, un viaggio: “ma cos'è la mia vita se non una squallida sequenza di rumorosi attimi sovrapposti ad altri?”
D'un tratto s'apre il varco della comprensione e vedo il sabato, no, non è un giorno in cui mi stacco dalla routine, il sabato ha una routine come la domenica, diversa dai cinque giorni che li precedono, ma routine. Vedo attraverso il varco dal momento in cui i miei occhi incontrano la figura piccola e colorata seduta davanti a me, e con stupore mi rendo conto che il bambino c'era anche sabato scorso e l'altro sabato e l'altro ancora, seduto sempre allo stesso posto, difronte a me, ma fino a questo momento lui faceva parte di ogni cosa delle stesse cose della mia vita, di quegli attimi sovrapposti ad altri, c'era e lo vedevo, eppure solo oggi so che c'è.
Gabriele mi ha accarezzato le dita, ha poggiato il suo indice minuscolo sull'unghia del mio dito medio e lentamente strofinato, come a voler comprendere la materia di cui è composta, poi delicatamente lascia scivolare il ditino lungo le nocche per arrivare a seguire una immaginaria linea sul dorso della mia mano. Mi ha guardato e mi ha sorriso, ci siamo guardati, un angolo di luce ci ha avvolti, e abbiamo conversato senza mai aprir bocca, mi ha mostrato se stesso raccontandosi da prima di nascere fino a questo momento, accompagnandomi istante per istante in ogni fotogramma della sua vita. Mi ha raccontato tutto, le parole silenziose fluivano come un fiume lento, e pacatamente lambivano lamia mente risvegliandola, nutrendola.
-“Vagavo gioiosamente nell'Infinito ascoltando con attenzione la voce di pensieri non nati, mi soffermavo a curiosare in particolare nelle case di alcuni umani che sui pensieri avevano costruito delle griglie, mi domandavo come potessero supporre che così facendo i loro pensieri rimanessero imbrigliati, non è proprio possibile! Il pensiero è etereo, sfugge alla materia per quanto ci si voglia costruire sopra anche una roccaforte. Sai, ne ho visitate tante di queste persone, mi sembravano fatte in serie, tutti uguali i pensieri e tutte uguali le griglie, un po' noioso per me che sono un vulcano di energie sempre in fermento. Ho vagato tanto, per più di cento anni, penso, non so con precisione, a me non è congeniale il calcolo del Tempo, e ci tengo a che non cambi mai questa mia caratteristica. Comunque ho vagato davvero tanto tanto tempo fino a che mi ha attratto un ronzio continuo che proveniva da una casa della tua città, il ronzio del “silenzio di dentro”. Non sai cosa è il silenzio di dentro? Eh, è un silenzio che “non si vede e non si sente”. Ci sono dei silenzi morbidi e colorati, ogni colore fa vibrare una nota delicata che l'orecchio non sente ma percepisce, e colui che li vive sente la sua anima cullata in una perpetua armonia, e il suo viso è luminoso e sorridente, questo si chiama silenzio che avvolge, è un silenzio buono, dona pace serenità amore, è il collegamento di ogni parte dell'essere umano con ogni parte dell'Universo. Il silenzio di dentro non ha colori e non è morbido, a un orecchio attento arriva un ronzio e il ronzio è duro, come figlio del cemento. Io dico che il silenzio di dentro è il cemento dell'anima! In quella casa della tua città, vivono due persone sane intelligenti forti, hanno un buon lavoro, una bella casa, un'automobile ciascuno e per coronare il loro benessere pensavano di avere un figlio, lo volevano bello sano intelligente come loro, un figlio che rompesse il silenzio di dentro, e in questo figlio hanno riposto ogni speranza di vita, non di sopravvivenza silenziosa liscia lineare perfetta con venature perfette come questo tek, ma una vita cullata di armonia. E sono nato, li ho scelti io, ho sentito la loro disperata cacofonia grigia, la loro disperata e muta preghiera di aiuto, li ho amati da subito, dal ronzio grigio, loro mi hanno sorriso nel silenzio che avvolge, e sono nato. Sono nato autistico, perché li amo.
Ci amiamo, armonia di note dell'Universo.”-
Ecco, la mia lacrima è risalita dal microscopico anfratto del tek e si è liberata nel Cosmo, ha prima volteggiato leggera attorno a me, disintegrando ogni sua particella per divenire sottile e fluido suono dalle venature color dell'iride, un impalpabile stralcio di arcobaleno ha illuminato il vagone del Freccia Rossa 9508. E' sabato, un giorno vivo, è caduta la polvere grigia dal suo abito, si è lanciato al di fuori del cerchio della routine di ogni giorno dagli attimi aggrappati ad altri attimi neutri ed è volato sulle ali della vita.
Avvolto da un silenzio buono avvolgo me stesso nel sorriso degli occhi di Gabriele, gli porgo una carezza sui riccioli scomposti, un lieve cenno alla sua mamma dal viso luminoso e mi incammino sul marciapiede della stazione, sono arrivato alla porta del mio giorno nuovo. Non sento voci gracchianti di altoparlanti, li percepisco al di fuori del mio corpo, sento invece armonia dai colori morbidi dentro me, tutt'attorno è più luminoso e vivo, il mio cuore canta una canzone nuova, lo sento palpitare ad ogni cambio di nota. È sabato, non voglio incontrare amici virtuali e non, mi porto lentamente lungo il viale alberato dalle fronde danzanti, voglio ascoltare il silenzio.
Annamaria Vezio ed. 2014
D.L.22/4/41 n. 633 "Protezione diritto d'autore e diritti connessi al suo esercizio" su testo e immagine (G.U. n.166 del 16/7/41 mod. D.L 22/5/2004 n.128).
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