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Calliope

Calliope
Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

mercoledì 28 settembre 2016

"Marco" di Roberto Gallaccio

E' una domenica di settembre. Marco stava passeggiando col nonno nel bosco di Castani. Un bosco che apparteneva alla sua famiglia da secoli, ma che era quasi morto e non se ne scopriva il motivo. Le foglie restavano gialle anche in estate, la frescura lasciava il posto ad un clima afoso, ma sempre meglio che sotto al sole che piccchiava come un forsennato.
- Qui, nipotino mio, si sono svolte battaglie cruente, il bosco, le sue radici, la sua terra, sono intrisi del sangue di gente che in tutti i tempi hanno lasciato qui la loro vita. Anche gli animali sono quasi spariti. Un tempo c'era una fauna meravigliosa, Cervi, Lepri, Fagiani, le anatre che si fermavano a riposare nello stagno che vedi là sotto di noi, alla fine della collina, e c'erano anche gli Orsi, si, Bruni e Marsicani, che nelle grotte trovavano rifugio e potevano ripararsi nel letargo invernale. Poi, all'improvviso, tutto è cambiato. Il bosco sembra non voler più vivere, sembra volersi lasciar morire. Una antica storia racconta di un vecchio che prima di morire, ucciso dai briganti di questa zona, abbia lanciato un anatema sul bosco perchè non avesse più vita, non avesse più dato gioia ai viandanti in cerca di rifugio e refrigerio, non avesse più dato cibo agli animali costringendoli ad emigrare, e a non dare più i suoi frutti. - Che io non possa trovare pace finchè l'umanità non fosse cambiata, o niente sarebbe mai cambiato -gridò il vecchio prima di morire. Invece il bosco è stato sempre usato come zona di caccia per uccidere i pochi uccelli che di qui passano ma vanno subito altrove non trovando niente da mangiare. Anche le Anatre nello stagno, si fermano un attimo e poi vanno via, perchè lo stagno non ha più niente da dare loro.
Anche ora. Vedi dietro quell'albero?- disse al nipote.
- Non vedo niente, nonno - rispose lui.
- Un cacciatore di frodo, nascosto dietro all'albero davanti a noi, dall'altra parte della piana - e lo indicò di nuovo.
Marco allora lo vide. E per rabbia raccolse un sasso e lo scagliò nella sua direzione. Ma la distanza era talmente ampia che non riuscì a colmarla con le sue piccole braccia.
- E' l'istinto umano, quello di distruggere quello che ha davanti. Meriteremmo di essere spazzati via da questo pianeta che ci sopporta già da troppo tempo - e tirò verso se il nipote.
Marco notò un movimento dietro ad un cespuglio ad una cinquantina di metri da loro. Incuriosito, guardò meglio avvicinandosi piano. Il nonno dietro di lui lo seguiva pronto a prenderlo al volo se cadeva. Ma non potè fare niente quando Marco, allarmato dal cacciatore che doveva anch'egli aver visto il movimento dietro al cespuglio, iniziò a correre urlando per scongiurare l'assassinio di qualunque povero animale si nascondeva dietro al cespuglio, fors'anche un serpente. Quasi arrivato che fu, inciampò ad una radice e cadde rotolando fin quasi sul cespuglio. Si udì lo sparo del cacciatore. E poi silenzio.
- Marco - si udì l'urlo riecheggiare nello spettrale silenzio. Ma il bimbo non rispondeva.
Anche se pieno di acciacchi per l'età, accompagnato dal fedele bastone, l'uomo si precipitò verso di lui, mentre mentre lontano si poteva vedere gli occhi sbarrati di un uomo terrorizzato conscio di aver compiuto un gesto del quale non si sarebbe mai perdonato per tutta la vita. Gettò il fucile e fuggì via in preda alla paura.
Marco era in terra, svenuto. Ma poteva sentire delle voci intorno a lui.
- Sono morto - si disse dentro di se, ma sentiva solo il richiamo del suo nome, incapace di rispondere.
- Marco - sentì una voce leggera che ripeteva il suo nome - Marco, svegliati - ripetè sempre più vicina.
Si ritrovò seduto a guardarsi intorno. Poi la voce tornò a chiamarlo.
- Marco, grazie di avermi regalato ancora un po' di tempo da vivere.
Se non era per te... - e si interruppe.
Marco si girò, e si trovò faccia a faccia con un leprotto dritto sulle zampe posteriori.
- Io posso sentirti? - chiese - com'è possibile? -
- Puoi sentirmi perchè sto parlando al tuo cuore. Sei un bravo bambino, hai rischiato la tua vita per salvare la mia. Avrai per sempre tutta la mia gratitudine - rispose il leprotto.
- Sono morto? - chiese Marco ma senza timore.
- No, non sei morto. Ma col tuo gesto non lo sono neanche io. E pensare che in tanti secoli ho aspettato di vedere qualcuno compiere un gesto di sincera bontà in questo bosco che ne ha viste talmente tante, che la resina degli alberi scende come lacrime dai loro rami. Ma oggi qualcosa è cambiato. Oggi tu hai quasi dato la vita per salvare me, uno stupido leprotto, anche se non avevi neanche visto che lo fossi. Perchè? - chiese già sapendo la risposta, perchè l'aveva letta nel suo cuore.
- Perchè sono ancora un bambino, perchè forse nella mia vita vedrò tante cose orribili, ma oggi nessuno doveva morire, no, qui, oggi, nessuno deve morire - rispose lui, parlando quasi come un uomo.
Il leprotto lo guardò, poi fece per allontanarsi, voltandosi un'ultima volta.
- Vai via e mi lasci solo? - chiese Marco.
- Non vado via. Io appartengo al bosco. E poi tu non sei solo. Tuo nonno è vicino a te, e tra poco lo sentirai mentre cerca di risvegliarti. Io ti dico grazie. Grazie perchè col tuo gesto mi hai liberato dalla maledizione che io stesso ho lanciato tanto tempo fa. Col tuo gesto mi hai fatto capire che forse l'umantà ha ancora un'occasione per rimediare ai suoi sbagli. Io sarò sempre qui, o forse Dio finalmente mi darà un posto dove stare dopo tanti secoli di solitudine. Ma mi raccomando. Lotta affinchè il bosco resti sacro e inviolabile, finchè avrai anche solo una stilla di sangue nelle vene. So che puoi farlo perchè hai un grande cuore. Ora è tempo di andare. Ciao, amico mio - e svanì davanti ai suoi occhi.
- Marco - lo scuotè il nonno.
- Dov'è andato? - chiese Marco stentando a riprendersi. Perdeva sangue dalla testa, ma per fortuna era solo un piccolo taglio.
- Non c'era nessuno qui, niente. Forse hai sognato mentre eri svenuto. Andiamo a casa, così ti medico la ferita e chiamo il dottore - e lo prese in braccio delicatamente accompagnando la testa.
Marco si sentì sollevare, e da dove era lui iniziò a sprigionarsi un chiarore che si propagò per tutto il bosco ridonando agli alberi il loro vero colore, le castagne nei loro ricci divennero di un marrone lucente e lo stagno, da piccola pozza, riprese il suo antico colore.
Il nonno non poteva credere ai suoi occhi. Le lacrime scesero copiose dalla gioia, cadendo anche sul volto di Marco che ancora guardava intorno alla ricerca del leprotto.
Marco crebbe, e durante tutta la sua vita fece di tutto affinchè il bosco venisse protetto in tutti i modi possibili, perchè tutto tornasse e rimanesse come Madre natura aveva creato.
Il giorno del suo 92° compleanno, stanco e col suo bastone, che in realtà era quello del suo caro nonno, ritornò pian piano verso il posto dov'era caduto da bambino. Il fruscio del vento tra i rami cantava la canzone della gioia, quella che canta la natura quando è felice e non deve temere nulla. Si sedette e stette in silenzio a goderne il canto. Sentì la vita che gli scivolava via, mentre il suo corpo piano cadeva all'indietro sdraiandosi nell'erba.
- Marco - sentì chiamare come allora.
Una luce gli si avvicinò saltellando, poi prese la forma di un uomo anziano, barba lunga e incolta, mani callose. La destra si protese verso di lui invitandolo ad alzarsi. Lui accettò, ma non sentì fatica.
- Mi hanno mandato a prenderti. Finalmente andiamo in un bel posto, bello quasi quanto il tuo bosco. Là, finalmente, potremo riposare e gioire dell'eterno infinito - gli disse sorridendogli in una maniera impossibile da rifiutare.
Si incamminarono verso lo stagno che alla luce del sole rifletteva i raggi del sole, ed in uno di questi sparirono.
Il suo corpo fu ritrovato il pomeriggio stesso, con sul viso il più bello dei sorrisi.

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