Translate

Calliope

Calliope
Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

venerdì 9 ottobre 2015

LE DUE SANTE di SERGIO CASAGRANDE

" Le vie del Signore sono infinite"
Chiara e l’angela custode, che l’aveva accompagnata nel mondo dei più, stavano sedute in riva a un ruscello, i piedi nudi a contatto di sorella Acqua, alle spalle di fratello Sole. Una stella strana, con i colori dell’arcobaleno, che non era di certo quella che alimentava con il suo calore e la sua luce sorella Terra, ma che loro, nonostante ciò, si ostinavano a identificarlo come il fratello lucente di Francesco.
- Come mai ritarda tanto?- si chiese sottovoce la Pianticella del Poverello. “ Che si sia intrattenuto con un’anima più giovane e attraente di me? ” pensò con una punta di gelosia.
- Francesco, da uomo era un distrattone, lo sai bene, e certe abitudini sono difficili da perdere, tenendo in conto che non sono per niente malevoli. Anzi, la distrazione, lo sai bene, Quassù non è considerata una negligenza, ma una virtù. Ora devo andare Chiara, mi stanno aspettando; ti lascio però in buona compagnia,- le sussurrò stampandole un lieve bacio sulla fronte - vedo arrivare un’anima da poco giunta dalla Terra. Potrai chiedere a lei se per caso ha incontrato il tuo Francesco. Ci vediamo.
- A presto mia cara, una bella luce per te.
- Buona Luce, - esordì la nuova arrivata - io mi chiamo Santa, con chi ho il piacere di parlare? Non mi sembri un volto del tutto sconosciuto. Dove ti avrò vista?
- Buona Luce a te, sorella. Io sono Chiara, la pianticella di Francesco, il Santo di Assisi.
- Ma allora tu sei Chiara, la Santa Vergine! Una Santa vera! Venendo qui ho intravisto un uomo dai piedi scalzi, coperto di un logoro saio e con la luce negli occhi che stava discutendo animosamente con un lupo. Vuoi vedere che… io…- e qui l’Anima dapprima s’interruppe, arrossendo violentemente, e poi, riprendendosi appena, balbettò : - io so - sono Sa - santa solo di nome, su - sulla Terra ero conosciuta come Santina la Ba-ba-battona. - Balbettò quest’ultima parola con un forte sospiro, come per liberarsi da un peso.
Santa, detta Santina perché anche i suoi frequentatori avevano un certo riguardo di pronunciare la parola “ santa ”, non era più una fanciulla in fiore, la sua personcina si era in parte lievemente impinguata, ma a dispetto di ciò, per la gioia degli innumerevoli clienti, serbava la grazia di una bambolina di biscuit: la sua cuffietta leggera di capelli biondi come il bronzo scolorito le si posava intorno al viso tondo e roseo come una meletta di Bressanone, mentre i suoi occhi chiari non s’erano per niente contaminati e mantenevano una bella dolcezza come la fedeltà. La custode di Chiara aveva fiutato la verità: Francesco si era dimenticato dell’appuntamento, e si era appisolato sotto l’ombra di un ulivo; lo aveva raggiunto fratello Lupo e si erano addentrati in una scivolosa diatriba. Fratello Lupo non aveva mai smesso, seppur bonariamente, di sfottere il Poverello di Assisi:
- Hai visto che avevo ragione io? Sarai pure un santo di prima grandezza, ma di certo un santo imbranato. Ti sembra giusto che un lupo debba insegnare certe cose a un uomo? Sacrificio? Digiuno? Castità? Il Creatore ci ha forse impedito di amare? Se non mi rimpinzavo a dovere come avrei potuto reggere lo sforzo, soddisfacendo me stesso, e accontentare tutte le mie lupacchiotte? I tuoi capi si sono forse astenuti? E quanti massacri hanno compiuto vescovi e cardinali nei confronti dei tuoi discepoli e simpatizzanti dopo la tua morte corporale? Non avevi capito come girava il mondo? Vedi? Non mi rispondi, eppure sono qui anch’io. E senza essere stato battezzato!
Santina, nonostante la sua poco raccomandabile professione, non era mai stata una donna cattiva. Non le era mai frullato per la testa, data la sua innata modestia, di finire Quassù. Magari un po’ di Purgatorio, ma di trovarsi subito di fronte a santi di un certo peso, per lei era qualcosa di inimmaginabile. Si ricordò che un giorno si era decisa a dare ascolto a una sua collega di Udine, che più volte l’aveva invitata a visitare Palermo. In quella occasione entrò nella cappella dei Cappuccini, e passando davanti a una tipologia di mummie, aveva avuto, come tutte le persone semplici e incolte, una autentica crisi di coscienza. In latino, che il frate accompagnatore si era incaricato a tradurre, c’era scritto: “ Beate le Vergini, ché loro è il Regno dei Cieli”. La sua amica friulana, morta dal ridere, strizzò un occhio al frate accompagnatore e gli sussurrò: “ Una sveltina da dieci va bene? ” lei invece si fece seria e, pur accettando l’idea, data la crisi che stava attraversando il Paese, che non le sarebbe stato possibile cambiare attività, s’inventò un altro modo coscienzioso di lavorare. Il suo, non lo ritenne più un mestiere, ma una missione. Santina, da quel giorno, per usare un eufemismo, riuscì a creare dal nulla qualsiasi uccello. Indugiava col vecchio marpione, il quale, nonostante gli sforzi, non riusciva a temprarlo a dovere. Giocava e si faceva sbaciucchiare dappertutto da due vecchietti ottantenni sempre col cappello in testa e che puzzavano di aglio. Si faceva toccare dalla mano tremante di una monaca lesbica, mentre recitavano assieme il Rosario. Sopportava, quasi come una moglie meridionale di un tempo, Leone, un tipaccio peloso e cappellone, che dal suo omonimo animale aveva proprio preso tutto: giannizzero dieci mesi all’anno al soldo del re Bula Bula della tribù degli Adoratori del Sole nella Nigeria Nord Occidentale, Leone arrivava senza preavviso e, ponendo una zampa sopra i piccoli seni della malcapitata, rimasti inspiegabilmente delicati come quelle di una monaca vergine, era in grado di ruggire sette volte in meno di due ore. Docile come un agnellino era invece con Olaf, un vecchio lupo di mare che, prima di giacere con lei, si scolava un bottiglione di duro raboso del Piave, e poi, un po’ annebbiato, soleva allungarle due sberloni. “ Tanto per mettere le cose in chiaro” diceva. Si sentiva materna infine con chi era alle prime armi. Le ritornava alla mente un certo Primolino. Le aveva provate tutte con l’innocente, che era sempre fermo. Ripeté allora al timido ragazzo quello che le aveva raccontato, in un momento di bonaccia, Leone, quando prima di uscire, davanti allo specchio , si acconciava la criniera: “ Non temere, cucciolo mio, facciamo quello che il delfinetto fa con la delfinetta, che il coccodrillino fa con la coccodrillina, che il…”
Santina la Battona ebbe un impercettibile dubbio: “ Sa- sa- sarà questo il po- po- posto? ”
E Chiara di rimando, leggendole nel pensiero: “ Cara Santina, le Vie del Signore sono infinite”.

3 commenti:

  1. Maria Costanza Resta: infatti non deve piacere a tutti, ma tra il piacere e il non piacere c'è in mezzo molto altro che appartiene soprattutto a chi scrive, x quello che mi riguarda mi suscitano solo curiosità e domande. Un mescolare sacro e profano coinvolgendo un femminile che ha il compito di trasmettere la vita: il sacro=Chiesa= madre spirituale; il profano= madre biologica e tutto quello che i vari contenitori educativi hanno trasmesso e come l'individuo ha trasformato x separarsi e divenire adulto responsabile padrone e creatore della propria esistenza operante in termini trasformativi nella vita propria e in quella dell'universo umano....Decisamente un grande e grosso lavoro che si compie consapevoli oppure no ma sempre primi attori in questa vita..

    RispondiElimina
  2. Carla Panno: Attraverso uno stile inconfondibilmente ironico, emerge tanta saggezza fusa con teneri sentimenti: questo è quello che sento. Ti ammiro e ti stimo moltissimo, ciao Sergio, condivido subito!!

    RispondiElimina
  3. Gloria Scalabrin ·
    Ironicamente garbato....mi è molto piaciuto

    RispondiElimina