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Calliope

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Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

venerdì 2 marzo 2018

GNAGNO TRA DON JEKYLL E PADRE HIDE ( prima puntata) Sergio Casagrande


Gnagno (il suo vero nome era Patrignano, ma i villici suoi compaesani lo avevano volutamente storpiato) spinse l’antico portone della chiesa, sperando in cuor suo di poter entrare inosservato. Non aveva fatto i conti però con i vecchi cardini arrugginiti: un cigolio beffardo ruppe il silenzio e si espanse nell’aria odorante di ceri. I fedeli in piedi e seduti sugli ultimi banchi, accigliati per quel fastidioso rumore improvviso, si girarono verso l’ingresso, il volto severo, all’unisono. Gnagno entrò in punta di piedi a testa bassa, si fece il segno della croce e rimase immobile in piedi tra i tanti che non avevano trovato un posto a sedere.
Padre Hide (don Jekyll quando si spogliava dei paramenti sacri o Mazziere nero quando giocava a poker) nel frattempo si stava scatenando dal pulpito contro il dilagare del materialismo e la pochezza dello spirito. Sbraitava per le eccessive libertà sessuali, veri focolai del peccato. Gnagno dopo qualche minuto si era messo a discutere con un grossista della zona. All’improvviso agitò le braccia, tutto il suo viso si accese di un rosso fuoco. Dieci giorni prima si era accordato per comprare due cuccioli di maiale (come lui scherzosamente li chiamava) al prezzo di mercato. Una improvvisa epidemia però aveva fatto lievitare il prezzo e Gnagno, che già aveva versato la caparra, intendeva arrivare a un compromesso, compromesso al quale però il mercante non intendeva acconsentire. Padre Hide (don Jekyll quando entrava nella casa di Dio), che oltre a una intelligenza luciferina possedeva la vista dell’aquila, notò il battibecco e, interrotta lì per lì la predica, richiamò con durezza Gnagno:
«Ah, è così signor Patrignano! Lei, dopo essere entrato in chiesa in forte ritardo discute animosamente di affari e di porcate. Che bell’esempio di buon cristiano! Posso solo immaginare gli argomenti trattati: donne e maiali!»
Il volto di Gnagno a quel punto si trasformò in una maschera paonazza con striature biancastre, che sfuggirono a ondate in direzione dei capelli. Quello che gli fece saltare la cosiddetta mosca al naso però non fu la rude ammonizione di padre Hide (don Jekyll quando non celebrava le funzioni religiose), ma i sorrisini di commiserazione che immaginò stampati sulle facce dei vecchi fedeli bigotti seduti sui banchi nominativi ai quali, mai, nemmeno se fosse scappato loro un urgente bisogno davanti all’altare, quel pretone avrebbe osato dire alcunché. Senza contare l’accostamento maiali-donne. Via, era fin troppo facile strigliare i fedeli dal pulpito, senza concedere loro una pur minima giustificazione. Così accadde qualcosa di imprevedibile, che non si era mai vista. Gnagno, che nel frattempo aveva cambiato repentinamente in grigio cenere, attorniato da fredde goccioline, il colore del volto, deglutì tre volte, e a passo di carica, facendosi spazio tra la gente, si diresse verso il pulpito. Scostò i due chierichetti di guardia e salì le scale accostandosi al prete, il quale, sconcertato da tanto ardire, non sapeva a che santo votarsi. Senza nessun indugio, Gnagno prese la parola:
«Sono qui a fianco del nostro amato parroco innanzitutto per scusarmi. Imperdonabile la mia sventatezza e la poca devozione dimostrata verso nostro Signore. Il ritardo è stato dovuto a una mia improvvida scivolata sul sentiero fangoso che risale dalla mia abitazione verso la chiesa. Sono stato costretto a ritornare sui mei passi per cambiarmi di abito. Ora però sono indotto a denunciare con mio sommo rincrescimento il comportamento alquanto scorretto nei miei confronti del nostro virtuosissimo reverendo. È pur vero che io stavo contrattando da qualche minuto il prezzo di due maialini: quisquiglie, pinzillacchere, bagatelle, cara gente. Intorno a me invece si è formato un capannello di paesani, tra i quali svetta sempre la “Longa manus” del qui presente parroco, ovvero il cavalier Antonio Pecunioni, gran proprietario di mandrie e allevatore di cavalli.» Così dicendo, si volse verso padre Hide (don Jekyll quando si accingeva a pranzare): «Vedete fratelli, questi buontemponi sono dall’inizio della funzione religiosa, e questo accade ad ogni festa comandata, che discutono, altercano, patteggiano i prezzi di grosse partite di vacche olandesi, il cui prezzo, per chi non ne fosse al corrente, è letteralmente precipitato.» A tal punto, con vera maestria, si girò verso le signore impellicciate dei banchi di famiglia: «La nuova condizione del mercato è diventata un’ottima occasione di speculazione, poiché solo chi dispone di tanto contante - il cosiddetto “sterco del diavolo - può portare a termine con grande soddisfazione enormi profitti da questa operazione. Per questi motivi ora esposti mi arrogo il diritto di impartire non una benedizione, che non mi spetta in quanto devoto laico, ma una simbolica - per il rispetto che porto alla veste – sculacciata al nostro benamato pastore di anime. A quel punto Gnagno sfiorò con riguardosa mano le natiche del prete, il quale, allibito da cotanta impudenza, stava ascoltando senza preferir parola. Poi Gnagno scese le scale, e a testa alta si avviò all’uscita dopo un frettoloso segno della Croce. Giurò a se stesso che fino a che la morte non lo avesse colto, avrebbe cercato in tutti i modi di mascherare quel mascalzone di prete e la sua tanto declamate castità. Sarebbe superfluo raccontare che dal giorno di quella sortita Gnagno balzò al centro della cronaca, spaccando letteralmente in due fazioni quel grosso centro agricolo. L’inusuale scombussolamento mise a dura prova i maggiorenti del Paese, che dovettero intervenire per ristabilire gli equilibri, dal momento che attorno a Gnagno si formò una lista dove confluirono gli anti Jekyll (padre Hide quando, assorto, pregava davanti all’altare maggiore). La lista era formata dai poveri senza la fede o con la fede traballante e da tanti umili di diverso orientamento politico. Gnagno però rifiutò ogni sorta di onore e negò sdegnosamente il proprio consenso a una futura candidatura di primo paesano. Non desiderava essere tentato dal potere, neppure per un tempo limitato come il mitico Cincinnato, non solo perché non si sentiva all’altezza di amministrare la comunità, ma anche per il suo desiderio di libertà, per la sua contrarietà a compromessi, per il suo innato idealismo e la sua proverbiale sincerità. Avrebbe avuto invece le carte in regola per aspirare un giorno alla carica di santo (un canonizzato laico con gli inevitabili peccati umani) se non si fosse trovato però dall’altra parte della barricata. Ma procediamo con ordine. Sin dal primo giorno, alcuni anni prima, quando il parroco aveva preso possesso della parrocchia, tra padre Hide (don Jekyll nel tempo che consumava giocando in borsa) e Gnagno non era mai corso buon sangue. Entrambi sin dall’inizio provarono un’istintiva antipatia reciproca. Dopo pochi giorni dal suo arrivo in parrocchia, don Jekyll (padre Hide quando amministrava i sacramenti), era a conoscenza dei vizi e delle virtù di Gnagno (così come del resto di tutti i suoi parrocchiani). Nell’agenda sempre aggiornata, compilata dal suo predecessore, sotto la voce “Patrignano, detto Gnagno” era riportata in rilievo la dicitura: “Scapolo impenitente ed imprevedibile”. Solo questa condizione da sola rappresentava un punto molto dolente, dal momento che secondo il pensiero del parroco e di Santa Madre Chiesa, l’indipendenza e la libertà dai vincoli sacri avrebbero corroso lo spirito e contribuito a limitare la paura del castigo divino. Gnagno inoltre era un umile, e questo era un bene, ma non portata devozione e riverenza verso i ricchi, e questo non solo era un male o un peccato, ma un sacrilegio. Impulsivo e incorruttibile: imperdonabile. Curioso, sincero e istruito: intollerabile. Dubitava dell’esistenza del Maligno: inconcepibile! I due erano dotati entrambi di un aspetto sgradevole: bruto e brutto in modo orripilante il primo, di una bruttezza fragile e patetica il secondo. Il filo di antipatia si era nel corso del tempo via via ingrossato, sin da diventare una grossa corda da ormeggi.
Don Jekyll (padre Hide quando porgeva con mano armoniosa e volto soave da giovine chierichetto l’ostia sacra ai fedeli) proveniva dalle dure pietraie del Carso (dove le donne sono coriacee sulla terra ma altrettanto toste sotto le lenzuola) e si era colpevolmente ingrassato a causa dell’insana abitudine di camminare poco e mangiare molto ogni giorno, compreso, ahimè, il venerdì. Di norma i suoi pranzi erano costituiti da risotto o pasticcio, carne di maiale, vitellone e di oca e capienti terrine delle più varie verdure crude e cotte condite con ottimo olio di oliva, il tutto accompagnato da pregiato vino rosso. Non disdegnava neppure torte con panna montata e pasticcini alla crema. Il risultato di cotanto stile di vita, di madre Natura e di tante esagerate degustazioni era un alto e grosso otre dal peso di un quintale e venti, sormontato da un impressionante faccione di un rosso bordeaux, che sprigionava, appena di un’unghia ai lati di un importante naso violaceo, una miriade di capillari turchini; poi venivano le spaventose orecchie elefantiache sempre attente a ogni sussurro e seminascoste da riccioli rossastri con sfumature di grigio. L’opera era completata da un ventre da accanito bevitore di birra e da una terrificante bocca, dove spuntavano, truci, due enormi canini; di taglio i due labbroni tumidi e sporgenti sui quali troneggiavano sovente un mezzo sigaro bolivar, che conferiva all’omone un tocco di elegante brutalità.
Gnagno proveniva da una modestissima famiglia emiliana. Il padre, un duro e un gran lavoratore, la madre, una minuta casalinga. Gnagno, terzo di tre fratelli, dopo aver frequentato con profitto la seconda elementare, era stato assunto come bracciante da un ricco possidente agricolo della zona. A vent’anni anni seguì il figlio del suo padrone, il banchiere Leoni, il quale era stato chiamato in terra veneta per amministrare la vasta tenuta di Santa Caterina, ereditata dalla moglie dopo la morte dei suoi genitori. Al paese natio, Gnagno aveva lasciato oltre che i suoi genitori e compagni anche una ragazza, a dire il vero poco propensa a diventare la compagna della sua vita. Lei lo apprezzava per la sua simpatia, intelligenza e loquacità, ma l’esteriorità, per lei che aveva appena diciassette anni, aveva la sua importanza e il confronto con i ragazzi del luogo la mortificava, rendendola dubbiosa sul da farsi. Il nonno di Gnagno gli aveva spiegato che le donne bisognava accettarle com’erano, che la parte alata dei maschi, nella loro turgidità, sortiva effetti terapeutici, se non miracolosi, ma ciò non era sufficiente con l’andare del tempo. Le donne cercavano sì nell’uomo il senso di protezione e sicurezza, ma queste condizioni non significavano affatto remissività; inoltre, difficilmente potevano lasciarsi corteggiare se avevano posto gli occhi su un altro anche in tutti i sensi peggiore. Sarebbe stata una guerra persa in partenza. Aveva insistito su un concetto base, derivante dalla sua esperienza di vecchio e saggio mandrillo: il matrimonio, se non era frutto di un innamoramento reciproco, ma solo di passione, comportava inevitabilmente un logoramento costante per entrambi; le mogli con il tempo si sarebbero incaricate di portare i mariti alla tomba, prima in quella virtuale, poi in quella vera. Nonostante questi macabri avvertimenti, Gnagno aveva insistito, l’aveva pregata in ginocchio di seguirlo, ma aveva ricevuto solo rifiuti. L’avrebbe tenuta nel cuore per tutta la vita e non si sarebbe più innamorato di nessuna. Anche nel Veneto le cose non cambiarono. Il loquace Gnagno rimase per parecchio tempo in silenzio a osservare e a prendere appunti a memoria, mentre i suoi coetanei facevano mostra della loro bellezza ed eleganza, ostentando alle feste paesane le giacche a doppio petto e le cravatte a farfalla. Li guardava da distante, disilluso, dopo aver assistito, assieme a una trentina di vecchiette, alla Santa Messa delle sei e trenta. Si rinchiudeva poi nel suo misero casolare ai margini di un bosco in compagnia della vacca Norma donatagli dal padrone e di una coppia di suini dai quali ricavava degli ottimi salami. Davanti all’ingresso faceva mostra di sé un fico bianco (andava dicendo che ogni uomo avrebbe dovuto tenere un fico pronto per l’occasione) e un orticello (rucola, aglio e cipolle non mancavano mai). In quel luogo iniziò a studiare. Ripassò la lingua italiana, studiò Filosofia, Storia, Fisica (in particolare la balistica) Astrologia e Astronomia. E fu per questo (cioè perché di fatto dispensato dalle delusioni e amarezze degli innamoramenti) che Gnagno poté profondere ogni energia sul lavoro. Con l’andar del tempo occupò nell’azienda un posto di rilievo. Fu nominato coordinatore delle squadre di braccianti impiegate nell’aratura, nella semina, nella raccolta. Le sue qualità però emersero, fino ad assumere rilevanza artistica, nella potatura. Nessuno riuscì a carpirgli il segreto della sua genialità, che emerse, preponderante nel taglio del maresciallo capo, una variante del taglio del caporale. S’impose sulla utilizzazione ai fini produttivi delle femminelle, calcolò la giusta l’inclinazione dei rami dei frutteti per indurli a fruttificare sempre di più. Progettò il duplex della vite quando si accorse che i carri trainati dai buoi faticavano a passare tra un filare e l’altro. Suggerì a un suo amico tipografo, gobbo dalla nascita, le annotazioni astrologiche accompagnate da esaurienti consigli sui lavori della campagna, quando questi, una volta all’anno, si accingeva a stampare: “Il Borghigiano.” Di questa sua attività extra lavoro non accettava dall’artigiano nessuna ricompensa, si accontentava di toccare di tanto in tanto la sua gobba. Sveglio, astuto, occhi che vedevano da lontano, udito finissimo; aveva imparato a leggere il labiale con grande naturalezza. Nulla sfuggiva a Gnagno.
Il parroco, per rifarsi dell’affronto subito, si avvalse della sua influenza per castigare il ribelle. Qual era la punizione più grande che il temerario Gnagno temeva? Sicuramente la perdita del posto di lavoro. Quel diavolo di prete teneva in pugno contadini e artigiani: una sua parola poteva accelerare una pratica, favorire un fido o annullare un mutuo. Una sua lettera facilitare un contratto, raccomandare un impiego o caldeggiare qualsiasi sistemazione. Gnagno aveva visto don Jekyll (padre Hide allorché dormiva sonni tranquilli) entrare più volte nella villa padronale: visite di cortesia o inviti a cena, certo, ma soprattutto conversazioni di affari. E non sempre puliti. I sussurri del paese riferivano che i due personaggi scommettevano cifre da capogiro nelle corse dei cavalli. Non era neppure una novità che entrambi avessero il gusto per il gioco d’azzardo e che amassero il rischio e le forti emozioni. Leoni era un accanito giocatore di whist, don Jekyll (padre Hide quando si faceva un pediluvio con il bicarbonato di sodio) invece amava svisceratamente il poker, il nuovo gioco di provenienza americana. Il prete tra l’altro, frequentando il Leoni, non rifiutava i suggerimenti sull’andamento borsistico: per il banchiere sarebbe stata una sgarbatezza; così, su sua insistenza, e giusto per accontentarlo, aveva investito alcune centinaia di lire, una parte dei frutti delle elemosine dei poveri e delle donazioni dei ricchi. Talvolta però, catturato dal vortice dei numeri, si lasciava prendere la mano. Come quando era morto il calzolaio del paese: aveva rimandato per ben tre volte la celebrazione funebre per meglio seguire le quotazioni della Borsa, improvvisamente altalenante e impazzita. Don Jekyll (padre Hide quando recitava il Santo Rosario) non perse tempo: chiese all’amico Leoni di licenziare su due piedi Gnagno per avere mancato di rispetto non tanto alla sua persona ma a chi essa rappresentava. Al banchiere un poco dispiacque ma acconsentì senza battere ciglio. Gnagno non si scoraggiò perché, nonostante quella vile vendetta consumata ai suoi danni, non tutti i padroni delle terre gli voltarono le spalle e qualche lavoro occasionale riuscì sempre a trovarlo, grazie soprattutto alle sue indiscutibili capacità oratorie e lavorative.
... continua... 
@Sergio Casagrande Autore del Giorno 21/02/18 Anima di Vento

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