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Calliope

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Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

lunedì 5 marzo 2018

GNAGNO TRA DON JEKYLL E PADRE HIDE (ultima puntata) Sergio Casagrande

Letteralmente, come vedremo, in gioco. L’affabilità con la quale il capo della comunità religiosa accolse il nuovo arrivo, fu ritenuto dal paese del tutto normale, dal momento che nessuno ravvisò alcunché di sconveniente nell’abbraccio fraterno tra due persone, seppur di diverso sesso, che avevano dedicato le loro esistenze terrene a Dio. Non per Gnagno invece, con occhio e udito esercitati a tutte le situazioni. Vide sgusciare e poi rientrare, una piccola bava dalla bocca fornicatrice di padre Hide (don Jekyll quando, in estate, sbaciucchiava il lungo collo bianco scoperto della figlia più giovane del sacrestano). Così, approfittando dell’arrivo di una comitiva che si era riversata in chiesa, il sabato successivo, travestendosi da vecchina, si pose a qualche metro di distanza da due suore in atteggiamento di preghiera. Erano la superiora Angelica e una sua consorella, una certa suor Albina, talmente piccola che tutti i paesani, quando la incontravano per strada, l’avevano soprannominata suor Breve. Le religiose erano in attesa di tergere la loro anima nell’acqua sacramentale della Confessione. La fortuna volle che padre Hide (che in quell’occasione faceva tutt’uno con don Jekyll) confessasse seduto su una poltrona dinanzi alle penitenti. Quando suor Angelica si inginocchiò davanti a padre Hide don Jekyll, Gnagno raddoppiò le attenzioni uditive e si concentrò sui movimenti labiali. Si meravigliò della confidenza colloquiale che intercorreva tra loro:
«Nel nome del Padre, del Figlio… Mia cara Angelica, quali peccati mi devi confessare?»
«Le solite mancanze di noi donne, padre. Piccole invidie, vanità, superbia, bugie…»
«Peccatucci veniali, Angelica. C’è dell’altro? Ti vedo come incerta… nascondi qualche peccato di un certo peso a nostro Signore?»
«Padre…»
«Via, via, Angelica, non farti pregare, non c’è niente che il buon Dio non possa perdonare.»
«Un vizio, padre. Sono patita per il gioco. È più forte di me. Gioco a poker con le mie consorelle, traviando in tal modo anche loro. Senza contare che sottraiamo del tempo alle preghiere. A volte facciamo le ore piccole… ero convinta che cambiando paese le cose sarebbero cambiate, invece…»
«Poker? E magari puntate grosse somme…»
«Ma no padre, siamo una povera comunità. Sul piatto mettiamo dei bottoni.»
«Bottoni? Sorella!! dov’è allora il bello del gioco? La forte emozione che comporta il rischio? Chi vince guadagna, chi perde paga il pegno! Il vero peccato è quello di sprecare il proprio tempo per una manciata di bottoni! Non posso mettere le mani sul fuoco, ma credo che anche nostro Signore da giovane giocasse ai dadi. E non certo mettendo sul piatto dei bottoni.»
«Ma padre, il denaro…»
«Denaro, denaro… perché siete tutti così prosaici? In questo gioco si può puntare qualsiasi cosa che abbia un valore.»
«Valore per chi padre?»
«Per chi vince naturalmente! È il vincitore che stabilisce il prezzo. E smettila di chiamarmi padre. Chiamami Jek. Ad ogni modo Angelica, ti assicuro che il gioco non è un peccato. Io stesso mi diletto a giocare a poker con il mio confessore. Ti aspetto domani sera dopo il Santo Rosario in canonica per una bella partita a due.»
«Pa… Jek, e se dovessi perdere?»
«E perché dovresti perdere? Via, domani alle 22.» 
«Jek, non… »
«Angelica cara, non dimenticare che oltre a essere il tuo parroco sono anche il tuo confessore di fiducia… Per i tuoi quattro peccatucci io ti assolvo nel nome del Padre, del Figlio…»
A Gnagno non interessò udire altro. Sapeva bene come sarebbe andata a finire. Gli restavano poche ore di tempo per procurarsi il materiale e studiare il percorso. Avrebbe dovuto portarsi sotto la finestra munito di macchina fotografica. Un unico scatto con il flash nel momento cruciale.
Quella notte si addormentò a fatica, tanto era l’eccitazione che lo stava agguantando. Nel sonno gli apparve un giovane con un paio di ali, brufoloso e magrissimo. «Sono il tuo angelo custode,» gli disse, presentandosi «testa calda che non sei altro.Ti consiglio di desistere dal tuo folle progetto. Non sono autorizzato a svelarti il perché, ma sappi che i tuoi sforzi cozzeranno contro un castello inespugnabile. Prega invece, acciocché Qualcuno Lassù ti aiuti a rinsavire! »
Gnagno si svegliò al canto del gallo e meditò su quello che gli era stato suggerito in sogno: “Per la miseria, tra tanti angeli proprio un baciapile mi è capitato! Perché mai il mio disegno, che ho studiato in modo dettagliato, non dovrebbe andare in porto? Perché mai non posso sconfiggere quel prete dannato?”
La sera stessa dopo una cena molto leggera si avviò verso la canonica. La luna era scomparsa dietro le nubi e si stava profilando un terribile temporale. L’afa era insopportabile. “Una serata da lupi,” pensò “quasi quasi il flash è diventato inutile. Beccherò quel tizzone d’Inferno durante l’amplesso e rivestirò di foto tutte le mura del paese.” Superò il primo ostacolo, scavalcando il muro di cinta senza grosse difficoltà nonostante la sua altezza. Rivolse un pensiero benevolo a don Jekyll, poiché se le forze fisiche e psichiche non lo avevano nemmeno scalfito, se si era mantenuto integro come uomo e lavoratore, ciò era anche merito del suo viscerale odio pretesco. Quando mise i piedi al di là del recinto si accorse purtroppo di un ulteriore ostacolo: un aggrovigliato filo spinato che circondava la canonica. “Strano,” pensò “ieri non c’era.” La cosa però, stranamente, forse perché troppo concentrato su ciò che lo aspettava, non lo impensierì più di tanto. Estrasse dalla saccoccia una tenaglia e incominciò a tagliare il filo. Impiegò del tempo prezioso prima di riuscire ad aprire un varco. In quel preciso momento incominciò a piovere e fu costretto a indossare un impermeabile che per fortuna aveva portato con sé. Naturalmente, dopo tali manovre, appesantito e impacciato nei movimenti fu costretto a muoversi con cautela. Si scatenò un forte temporale, i lampi rischiararono a tratti il prato e l’acquazzone che ne seguì lo investì in pieno. Gnagno a quel punto dovette aggirare la canonica dal lato sinistro per non farsi vedere dai due giocatori. Piano piano, strisciando con il passo del gattino sul fradicio terreno. Era una pioggia fredda che cadeva di sghimbescio, mossa da un vento di tramontana. A cinque metri dalla finestra illuminata, si mise in ginocchio ed estrasse il binocolo per controllare a che punto fosse arrivata la partita, ma avvertì un ostacolo alla gamba destra che gli impediva di procedere. Prese slancio forzando con il piede sinistro per liberarsi di quel intoppo imprevisto. La trappola per volpi scattò improvvisa imprigionando con i suoi denti di ferro la gamba di Gnagno. Le grida di dolore furono coperte dal frastuono del temporale e dallo scroscio della pioggia sempre più fitta. Forse avrebbe potuto chiedere aiuto trascinandosi davanti a quel dannato, ma dignità e vergogna non glielo permettevano. Comprese quindi che tra non molto avrebbe reso l’anima a Dio; eppure pur nella sua grande sofferenza, mentre il sangue gli usciva a fiotti, trovò la forza di ridere: il diavolo esisteva davvero e sicuramente l’angelo custode che gli era stato affidato non aveva avuto voce in capitolo. Con fatica riuscì a puntare il binocolo verso la finestra illuminata, ora la pioggia era cessata e il temporale si era allontanato verso nord, la conferma veniva da un lamentevole brusio al di là del bosco. Con mani tremanti vide la stuzzicante e giovane superiora, che indumento dopo indumento, era rimasta vestita del solo reggipetto rasato e delle mutandine di seta nera. Secondo le dicerie dei più maldicenti e sbocaccioni come Nane Pison e Piero Fiorot, se avessero visto la scena che si presentava davanti ai suoi occhi, avrebbero dedotto che quei capi intimi erano sicuramente un dono o un ricordo del suo primo frate confessore. Già, era un vero spreco per quella figlia della Misericordia, ma che rimanevano pur sempre l’ultimo baluardo al ceco uzzolo del Mazziere nero, il quale stava già pregustando una notte infuocata che l’avrebbe portato, se fosse stato nelle vesti di padre Hide, alla dannazione eterna. Gnagno abbassò il braccio e mentalmente si scusò con il Signore che avrebbe dovuto accontentarsi della sua anima un pochino torbida, ma in cuor suo giurò che se gli si fosse ripresentata un’altra vita non avrebbe cambiato una virgola. Magari avrebbe fatto più attenzione alle condizioni atmosferiche. Il suo primo pensiero volò in alto per posarsi sul ramo della sofferenza: mentalmente augurò buona fortuna ai suoi compagni e alle loro povere famiglie. Il secondo sorvolò a ritroso il tempo per atterrare sul ramo dei martiri della libertà: una amara lacrima gli scivolò lungo le guance già bagnate dalla pioggia. Chissà se i loro sacrifici, come semi di amore e coraggio, un giorno sarebbero germogliati nei cuori degli uomini di buona volontà. Poi gli venne in mente il vecchio nonno. Gli chiese due favori: qualche minuto in più di vita e vedere le sembianze del diavolo. Non gli importava la prassi: poteva intercedere presso il santo più vicino. O magari una santa vergine: sicuramente si sarebbe fatta in quattro viste le circostanze. In fretta però: le vene erano quasi a secco. L’intervento del nonno fu determinante. Santa Agata e santa Lucia risposero all’appello senza esitazioni. A Gnagno, quasi per magia, tornarono le forze. Afferrò nuovamente il binocolo e lo ripuntò in direzione della finestra incriminata. Un ultimo lampo provvidenziale portò dinanzi ai suoi occhi l’immagine di suor Angelica con le mutandine sulle ginocchia, le nivee spalle rotonde e il seno delle amazzoni dalle punte rigide come lance. Lo sguardo della giovane suora era avvilito ma non del tutto rassegnato: in mano una doppia coppia di re la faceva sperare. Una forte fitta al cuore lo avvisò che gli sarebbero rimasti pochi minuti di vita. Rintracciò con estrema fatica nell’oscurità il binocolo che gli era caduto; tremando lo afferrò con entrambe le mani e oscillando cercò una nuova immagine. Vide dapprima gli occhi assassini di don Jekyll che lo fissavano inquietanti. Erano gli occhi fiammeggianti di un diavolo contento. Con suo forte disgusto vide che si era tolto la canottiera e ai suoi occhi increduli apparvero tre K tatuate. Ma ecco, ora le sue labbra si stavano muovendo, avrebbe saputo, sarebbe stato accontentato: la sua curiosità riuscì a fermare il tempo:
«Servito, tesoro mio! Vedrai, Angelica, sarà una cosa sublime fornicare! Ma non temere: io ho il potere di assolverti!»
«Cazzo!»
La parolaccia, tanto vituperata dai benpensanti, alla poverina che si era trovata con le spalle al muro, le era sfuggita per la prima volta. Gnagno consumò l’ultima stilla di energia con una risata amara a mezza bocca:
“Questa poi… Anche Benedetto XIV sostituiva il punto esclamativo con questo vocabolo da caserma e osteria, ma lui poteva: era un grande papa, colto, intelligente e ironico. Ma da quella boccuccia di rosa… e quel porco… è così giovane, poco più di una ragazza…”
Il cuore di Gnagno batté forte come un tamburo percosso da un apache sceso sul sentiero di guerra, poi si fermò appena un attimo prima di chiudere gli occhi di sua volontà. 
Li aprì nell’alto dei Cieli. Quando la sua anima non del tutto candida arrivò Lassù, fu accolto da una dozzina di angeli: «Abbiamo fatto il tifo per te, anche se sapevamo che la tua partita era persa in partenza. Ti hanno salvato però il nonno e il tuo coraggio. Vieni, amico, ora sarai dei nostri. Ci insegnerai» scherzarono «come si addestrano i gatti a volare, e come si utilizza al meglio la catapulta… sai, noi abbiamo le ali e non ne abbiamo fatto mai uso.»

@Sergio Casagrande Autore del Giorno 05/03/18 Anima di Vento



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