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lunedì 15 ottobre 2012
giovedì 11 ottobre 2012
NONNA ANNA (in arte Antonio de Curtis)
L’andarono a “prendere a Pompei”, “chell’aneme ‘e ddio” !
“Quatt’anne, cert’uocchie ca te recevene, pigliame, pigliame !”
Così scelsero lei. Orfana di madre, un padre scioperato, affidata alla zia che non la voleva, fu portata a Pompei
La portarono a casa come una bambolina. e la colmarono di quelle
attenzioni che non aveva mai avuto prima di allora. Appena fu un po’ più
grandicella, a lavorare nella terra, alla montagna: cresceva forte e
contenta. E bella. Corteggiata da parecchi giovanotti scelse quello meno
rozzo, più dolce. Per quella che era la dolcezza, di quei tempi in quel
posto. Aveva 18 anni, 26 lui quando furono marito e moglie.
Da allora, e per 22 anni fece un figlio in media ogni anno.
si perché fare l’amore era l’unico “divertimento” che avevano.
“Divertimento” per lui; quasi un “dovere” per lei.
Come era per tutti, allora.
Il “piacere di fare l’amore” quello era solo dell’amore clandestino,
dietro una siepe in montagna, in una “ngogna” = anglo nascosto, nella
terra, nel fienile quando si era certi che nessuno sarebbe arrivato e,
per le “signore” anche il letto di casa. Essì perché anche le signore,
quelle che non erano ai lavori nei campi, le signore avevano le loro
voglie.
La Nostra, ebbe 11 figli, alcuni morti in tenerissima età;
uno lo partorì in campagna, aiutata dalle compagne e lo tenne in una sporta finché non ebbe la forza per tornare a casa.
Il marito lavorava; lei badava alla casa, ai figli, alla terra, agli
animali. Al marito che tornava stanco da una giornata, spesso una
settimana di lavoro. Anche a letto di notte.
Morì di un tumore a 71 anni, dopo una lunga malattia, la mattina dopo che era giunto il figlio dall’ Africa.
Era mia nonna, la mamma di mia mamma.
“Quatt’anne, cert’uocchie ca te recevene, pigliame, pigliame !”
Così scelsero lei. Orfana di madre, un padre scioperato, affidata alla zia che non la voleva, fu portata a Pompei
La portarono a casa come una bambolina. e la colmarono di quelle attenzioni che non aveva mai avuto prima di allora. Appena fu un po’ più grandicella, a lavorare nella terra, alla montagna: cresceva forte e contenta. E bella. Corteggiata da parecchi giovanotti scelse quello meno rozzo, più dolce. Per quella che era la dolcezza, di quei tempi in quel posto. Aveva 18 anni, 26 lui quando furono marito e moglie.
Da allora, e per 22 anni fece un figlio in media ogni anno.
si perché fare l’amore era l’unico “divertimento” che avevano.
“Divertimento” per lui; quasi un “dovere” per lei.
Come era per tutti, allora.
Il “piacere di fare l’amore” quello era solo dell’amore clandestino, dietro una siepe in montagna, in una “ngogna” = anglo nascosto, nella terra, nel fienile quando si era certi che nessuno sarebbe arrivato e, per le “signore” anche il letto di casa. Essì perché anche le signore, quelle che non erano ai lavori nei campi, le signore avevano le loro voglie.
La Nostra, ebbe 11 figli, alcuni morti in tenerissima età;
uno lo partorì in campagna, aiutata dalle compagne e lo tenne in una sporta finché non ebbe la forza per tornare a casa.
Il marito lavorava; lei badava alla casa, ai figli, alla terra, agli animali. Al marito che tornava stanco da una giornata, spesso una settimana di lavoro. Anche a letto di notte.
Morì di un tumore a 71 anni, dopo una lunga malattia, la mattina dopo che era giunto il figlio dall’ Africa.
Era mia nonna, la mamma di mia mamma.
QUATTRO MONETINE NELLE TASCHE DI PAPA' Laura E. Privitera
Ho trovato nelle tue tasche quattro monetine
e me le son prese perchè tu rimediassi a ciò che m'hai fatto:
una per quando naqui e per te ero la più bella
mentre sembravo a tutti una prugna secca e senza fiato
ero bella solo per te
ma ugualmente tu m'hai lasciato
una per quando mi portavi a toccar le stelle sulle tue spalle
ed io urlavo e stavo male dallo spavento ma tu insistevi
insistevi davvero tanto
ma alla fine m'hai posato
una per tutte le volte che m'hai detto che mi volevi bene
me ne volevi e io ti credo
ma poi non ci sei più stato
una infine l'ho presa per quella volta che te ne sei andato
con le mani incrociate al petto
e senza le scarpe che non t'ho infilato.
Ho trovato nelle tue tasche quattro monetine
e me le son prese perchè tu rimediassi a ciò che m'hai fatto:
una per quando naqui e per te ero la più bella
mentre sembravo a tutti una prugna secca e senza fiato
ero bella solo per te
ma ugualmente tu m'hai lasciato
una per quando mi portavi a toccar le stelle sulle tue spalle
ed io urlavo e stavo male dallo spavento ma tu insistevi
insistevi davvero tanto
ma alla fine m'hai posato
una per tutte le volte che m'hai detto che mi volevi bene
me ne volevi e io ti credo
ma poi non ci sei più stato
una infine l'ho presa per quella volta che te ne sei andato
con le mani incrociate al petto
e senza le scarpe che non t'ho infilato.
e me le son prese perchè tu rimediassi a ciò che m'hai fatto:
una per quando naqui e per te ero la più bella
mentre sembravo a tutti una prugna secca e senza fiato
ero bella solo per te
ma ugualmente tu m'hai lasciato
una per quando mi portavi a toccar le stelle sulle tue spalle
ed io urlavo e stavo male dallo spavento ma tu insistevi
insistevi davvero tanto
ma alla fine m'hai posato
una per tutte le volte che m'hai detto che mi volevi bene
me ne volevi e io ti credo
ma poi non ci sei più stato
una infine l'ho presa per quella volta che te ne sei andato
con le mani incrociate al petto
e senza le scarpe che non t'ho infilato.
venerdì 5 ottobre 2012
Senza titolo. di A. de Curtis
(Una vecchissima "poesia"
di quando pensavo di scrivere poesie)
Un vagito
Un sorriso
La scelta
L’affanno
Canuto
Un rantolo.
domenica 30 settembre 2012
"Ninna nanna del padre assente " ed 2010 copyright by Am Vezio

Ninna nanna di un padre assente
Cantavo lenta lenta
una nenia di paese
cullavo i sogni tuoi
e coloravo immagini
di bimbo sulle nuvole
che scivolava morbido
sul lungo arcobaleno
Cantavo lenta lenta
e ti mostravo braccia larghe
di padre forte e attento
davanti al tuo cammino
Cresceva la canzone,
si allargava nei colori
del tempo tuo maturo
e sempre ti mostravo
giocose nuvole a cavallo
di arcobaleni morbidi
e braccia forti e larghe
di padre all’orizzonte
Cresceva il mio bambino
e di immagini cullava
il lungo suo cammino
All’orizzonte ci arrivava
e braccia non trovava
di padre forte e attento
Cantavo, allora ancor più forte,
la voce mia copriva
l’assenza del calore
laggiù, dove il colore
del lungo arco tinto
lasciava grande macchia
e un buco nel terreno
Ti ho stretto fra le braccia,
bambino mio cresciuto,
cullato i sogni tuoi
con nenie di paese
Cantavo strofe nuove
inventate nel mio petto
e nell’ingenuità di mamma
t’illudevo,
ma l’ ho fatto per affetto,
di trovare sul cammino
l’essenza di tuo padre
Perdonami bambino,
mio, cresciuto dentro il petto,
se il padre che vorresti
non t’ ho saputo dare
Perdonami, se nenie
di paese canto ancora
e se altre lascio nascere
nella strizza del mio cuore.
Un "gratificante" racconto - IL PILOTA DI AEROPLANI - Antonio de CurtisSono passati quattro anni dalla prima pubblicazione, merita una spolveratina e un giretto, la bella "scrittura" non deve fermarsi, mai. Consiglio la lettura.
Era venuto ad abitare vicino a noi una nuova famiglia, tante persone;
abitava l'ala di quel vecchio palazzo gentilizio proprio di fronte a
quella che abitavo io; però il loro appartamento era molto più grande
del mio.
Gente riservata, educata, brava ... sembravano. ...
Gente misteriosa … che suscitava la curiosità del vicinato … si vedeva
quasi solo una signora giovane quando andava a fare la spesa alla
“puteia”.
Un giorno, qualche settimana dopo che erano venuti …
scoprii che c’era anche un bambino della mia età, 7/8 anni. Anche lui mi
vide. Un bel bambino, tutto vestito bene pulito ordinato … forse per
questo mi risultò un poco antipatico … tuttavia la curiosità fu più
forte, attraversai il terrazzo interno che correva lungo tutto il
perimetro dell’edificio e mi fermai un po’ prima di dove cominciava la
sua casa.
Anche lui si era avvicinato.
Gli domandai sei figlio
di quella famiglia ? si! mi rispose lui … Io sto di casa là di fronte; e
io abito qua. Io mi chiamo Mimmo; io mi chiamo Enrico; quanti anni
tieni; io 8 e tu?; anch’io; che classe fai ? devo fare la terza, e tu ?
anch’io; allora andremo a scuola insieme; forse … e via cosi ci
impegnammo in uno scambio di informazioni che in qualche modo salutavano
la nostra conoscenza.
Finché io non dissi che mio padre era una
persona importante; e lui mi disse che lo era di più suo padre; ed io
dissi non so cosa del mio papà e lui ribattè ancora che il suo lo era di
più … insomma una gara a chi avesse il papà più ... bello.
Enrico era soverchiato dalla mia abilità nel presentare al meglio le qualità del mio papà.
Ad un certo punto, per dare la stoccata finale, dissi “Mio padre fa
l’ingegnere” – in realtà papà era un geometra, ma in paese tutti lo
chiamavano ingegnere.
E lui, pensando di prendersi finalmente la rivincita, mi rispose tutto orgoglioso
“Il mio papà invece pilota … di aeroplani!”
Restai colpito assai; mai avevo pensato di poter stare vicino ad un pilota di aeroplani.
Ma non potevo permettere che il suo papà fosse più del mio. Allora dissi:
“Sì il tuo papà li porta gli aerei ma gli ingegneri li costruiscono. Se
non ci fossero quelli come il mio papà il tu non farebbe niente” …
Enrico scoppiò in un pianto dirotto … non mi sembrava di aver fatto niente di male …
Al pianto del bambino si aprì una porta e uscì una signora. Appena la
vidi, pensando che mi avrebbe picchiato o almeno sgridato, scappai …
Qualche ora dopo, ero nel cortile a bighellonare in attesa che arrivassero altri ragazzi, mi sentii chiamare
“Bambino, bambino” mi girai intorno e vidi quella signora del mattino
che dal terrazzo antistante la sua casa sembrava chiamasse proprio me …
non c’era nessun altro …
Dissi:”Chi io ?” “Si - mi rispose- vieni un attimo su.“
Temendo che volesse punirmi risposi
“E perché? che devo fare ?”
“Enrico ti vuole dire una cosa”
Nonostante temessi, non mi seppi sottrarre, oltretutto ero l’unico che lo conosceva.
Salii. La signora mi attendeva davanti alla porta;
Mi disse “Vieni!”
Sempre con un po’ di timore la seguii.
Entrammo in casa e poi in un’altra stanza, tutta bella pulita, c’era anche un banchetto col calamaio come a scuola.
Lui mi aspettava vicino alla finestra. La mamma, quella signora, disse vado a prepararvi due biscottini.
Allora Enrico si avvicino e mi disse: “Ti devo dire una cosa: il mio papà è morto”
Provai un dispiacere immenso.
Allora gli dissi “Era più importante il tuo papà, il mio non era proprio ingegnere, lui non fa gli aeroplani …”
Allora entrò la mamma col vassoio con biscottini e caramelle … me ne offrì ma io non mi sentivo del tutto a mio agio.
Enrico forse se ne accorse, ne prese un pugno e me lo ficcò in mano.
venerdì 28 settembre 2012
Fides da "Lettere"ed. 2012 copyright by Am Vezio
Scrivo, ma forse prego,
con le dita strette sulla penna
come mani giunte in preghiera
All’infinito affido
i miei bisogni e le mancanze
e, ognora, una risposta aspetto
Chiedo sempre,
con fiducia e con costanza
che l’attimo futuro
sia migliore del presente
così come i presenti
furon meglio dei passati
E il giorno che, or ora viene,
mi si mostra sempre nuovo,
impertinente mi ricorda
che ieri, è già “passato”
lontano è abbastanza
da mostrarmi ch’è reale,
che l’oggi è bello e gravido
di quei momenti
che appena poco fa,
erano soltanto
lampi di promesse.
da "Lettere"ed. 2012 copyright by Am Vezio
martedì 25 settembre 2012
LA SIGNORINA ELISA (2a Parte Antonio de Curtis)
A conti fatti avrò avuto 4 anni.
Ho una sorella di 2 anni minore di me, quindi allora aveva 2 anni.
Mia mamma era sola ad accudirci …
Allora scuole materne, asili nido … i nidi erano tanti, quasi ogni albero ne portava un paio, ma di asili … nemmeno la parola.
Era difficile tenerci a freno, io più grande facevo il prepotente e
scocciavo mia sorella … quando mamma non vedeva. Quella incominciava a
piangere ed insomma …
Mamma aveva fatto amicizia, con la a famiglia
“nobile” del paese, gente di antico lignaggio, abituata a essere
importante … comunque … ed una anzi due componenti la famiglia, zia e
nipote, erano maestre elementari e la più anziana, “la signorina Elisa”,
insegnava proprio nella scuola del paese.
Signorina, sì, perché non era sposata: bassa, col gobbo, un viso stregolino, benché nobile … non aveva trovato.
Per la verità, c’era stato un disgraziato che,fatto i suoi calcoli, si
era fatto avanti … ma lei sdegnosamente: “Quello zotico ? …”
E così era rimasta signorina.
Signorina proprio … da metterci la mano sul fuoco, … quello del camino.
Ma torniamo a noi.
Mamma pensò bene ad un asilo ante litteram: chiese alla signorina Elisa se mi avesse tenuto con lei in classe la mattina.
E così, a 4 anni, finii nella seconda elementare in mezzo a ragazzi tanto più grandi di me.
La maestra mi aveva fatto sedere al primo banco, proprio vicino alla lavagna.
Per potermi tenere sempre d’occhio.
Io a disagio e impaurito stavo fermo e quieto anche se mi scocciavo
assai; ogni tanto, quando gli altri scrivevano, io col “lapis” – si
chiamava così, la matita - col lapis facevo qualche scarabocchio sul
quaderno a quadretti che mamma mi aveva comprato apposta; o mi fermavo a
esaminare il calamaio di zinco semipieno di inchiostro infilato nel
buco del banco; o la penna col pennino “a cavallotto” del ragazzo più
vicino … che faceva macchie se non la intingevi bene … insomma andavo
scoprendo quel mondo semioscuro, silenzioso, dove imperava la maestra.
La padrona e signora di quei 40 metri quadrati e di quella piccola
truppa di ragazzi innocenti.
Ogni tanto mi veniva vicino a guardare
cosa stessi facendo … come tenessi il quaderno … aveva sempre qualcosa
da rimproverarmi … avevo paura anche di mettermi a piangere … sempre con
la sua riga in mano, pronta ad usarla …
E la usava. E spesso.
Erano i momenti più tristi, che quasi quasi avrei voluto scappare ma la
paura mi teneva inchiodato nel banco.
Mi ricordo di un ragazzo, il
più grande, forse 12 anni, “il più ciuccio” come diceva la maestra,
figlio del mulattiere del paese. Un ragazzotto, bianco e rosso,
l’immagine della salute, alto e robusto, sovrastava la rachitica maestra
di un bel po’.
Dalla mia terrazza, lo vedevo passare a volte sul
suo mulo, seduto con i piedi pendenti dallo stesso lato, le briglie in
mano, la piccola frusta … ogni tanto tirava le redini, o dava una pacca
sul collo all’animale: un re sul suo destriero! …
L’avevo visto una
volta guidarlo, il mulo, col suo basto di pezzi di tronchi … con
sicurezza tra le pietre della collina … e l’animale che lo seguiva
docile. Michele –nome posticcio, quello vero non me lo ricordo più –
Michele lavorava col padre … tante volte non veniva a scuola … e la
signorina Elisa si arrabbiava.
E quando si arrabbiava era botte, e delle peggiori.
Ogni occasione era buona per usare la sua “riga”.
La “riga” era una stecca di legno lunga poco più di 1 metro, larga 4/5
cm e spessa mezzo centimetro. Il terrore di tutti i ragazzi.
Ricordo una volta, Michele alla lavagna, a fare delle operazioni.
Non ci riusciva … la maestra gli si avvicinò e gli domandò la tabellina
… diciamo del 6 … quante volte l’avevo sentita pure io quel ritornello:
”Sei per uno sei; sei per due dodici; sei per tre … un pezzo l’avevo imparato pure io.
Michele arrivò fino a sei per sei trentasei, “sei per sette … sei per sette … sei per sette” …
Si avvicinò la maestra “ e sei per sette ? – disse - “sei per sette?”- gridò …
“Sei per sette … sei per sette …”
“Sette bacchettate in mezzo alla mano!” …
Michele voleva tenderla la mano per ubbidire e ma anche tirarla indietro per non subire …
“Stendi la mano!” gridò.
Michele si decise, ubbidì e …paf, paf, paf … sette bacchettate che manco ad un mulo … ad un asino …
Io là vicino tremavo manco fosse mia quella mano.
Guardavo e pensavo: “Ma comme! Michele, ma pecchè non nge dà ‘na
vuttata, ‘a sbatte pe’ ll’aria? … nun se puteve purtà a bbacchetta d’
‘o mulo ? … ”.
“Ma come! Michele, ma perche non le dà uno spintone e la sbatte per aria ?… non poteva portarsi la frusta del mulo … ”.
Ci sono rimasto per 5/6 mesi in quella classe, che mi insegnò ad odiare la scuola e, soprattutto, le maestre.
Correvano gli anni 40. Tanta gente firmava con la “croce”.
La signorina Elisa, lei sapeva scrivere !
domenica 23 settembre 2012
LA SIGNORINA ELISA Antonio de Curtis
Si chiamava signorina Elisa; della schiatta nobile del paese; maestra
elementare; zitella, avvizzita nei suoi quasi 50 anni – a 50 anni allora
si era vecchi, vecchi proprio – forse senza mai conoscere uomo:
noblesse oblige.
Fine degli anni ‘30. Una piccola scuola di un
paesotto di contadini e tagliaboschi. Quella mattina non era
particolarmente arrabbiata, la maestra; finché Nanninella nell’ultima
fila non chinò la testa sul banco e prese a dormire.
Quando se ne
accorse, brandì la sua”riga” passò silenziosa tra le due file di banchi
la raggiunse e la “svegliò” con due colpi sulle spalle.
La ragazzina saltò al primo colpo e cercò di parare il secondo.
Nanninella quella mattina, come le altre mattine, si era alzata alle
tre, aveva accompagnato la mamma in montagna, aveva mietuto con lei, con
lei s’era fatto il fascio di fieno, se l’era issato in testa e l’aveva
portato a casa. A tempo per lavarsi il viso, mettere il grembiule e le
scarpe e andare a scuola.
La signorina Elisa, tutta soddisfatta se
ne stava tornando alla cattedra quando inciampò nel penultimo banco e
per non rovinare per terra si afferrò al primo banco della fila.
Ma
… ma sul banco c’era la penna, e la penna di quei tempi era
un’assicella di legno con un “pennino” montato in punta … il pennino le
si infilò nel dito …
Con un urlo di dolore, il dito sanguinante prese a menar botte ed inveire contro la bambina che occupava quel posto.
”Crape, crape ma che ve ce mannena a ffà a scola ?, che ve ce mannene a
ffà ? … jate ‘a muntagna !… a muntagne …. vi odio! vi odio!”
”Capre, capre ma che vi madano a fare a scuola ? che vi ce mandano a
fare ? … andate alla montagna! … alla montagna! …. vi odio vi odio!”
E continuava a menar rigate … finché non pensò che si doveva fasciare il dito.
Ragazzine di 3° elementare 10, 11 anni, che s’affacciavano a sbocciare …
La signorina Elisa, zitella sgubbatella, sorella del dottore, figlia del marchese.
Quando se ne accorse, brandì la sua”riga” passò silenziosa tra le due file di banchi la raggiunse e la “svegliò” con due colpi sulle spalle.
La ragazzina saltò al primo colpo e cercò di parare il secondo.
Nanninella quella mattina, come le altre mattine, si era alzata alle tre, aveva accompagnato la mamma in montagna, aveva mietuto con lei, con lei s’era fatto il fascio di fieno, se l’era issato in testa e l’aveva portato a casa. A tempo per lavarsi il viso, mettere il grembiule e le scarpe e andare a scuola.
La signorina Elisa, tutta soddisfatta se ne stava tornando alla cattedra quando inciampò nel penultimo banco e per non rovinare per terra si afferrò al primo banco della fila.
Ma … ma sul banco c’era la penna, e la penna di quei tempi era un’assicella di legno con un “pennino” montato in punta … il pennino le si infilò nel dito …
Con un urlo di dolore, il dito sanguinante prese a menar botte ed inveire contro la bambina che occupava quel posto.
”Crape, crape ma che ve ce mannena a ffà a scola ?, che ve ce mannene a ffà ? … jate ‘a muntagna !… a muntagne …. vi odio! vi odio!”
”Capre, capre ma che vi madano a fare a scuola ? che vi ce mandano a fare ? … andate alla montagna! … alla montagna! …. vi odio vi odio!”
E continuava a menar rigate … finché non pensò che si doveva fasciare il dito.
Ragazzine di 3° elementare 10, 11 anni, che s’affacciavano a sbocciare …
La signorina Elisa, zitella sgubbatella, sorella del dottore, figlia del marchese.
sabato 22 settembre 2012
Le parole che non so dire (ed.2012 copyright by Am Vezio
Le parole che non so dirti
negli attimi importanti
quando nel tuo cuore affogo
e tu in me muori
Nel momento in cui tu cadi
e ti abbandoni nel mio ventre
resti, agonizzi e ti addormenti
e ritorni a vita nuova
Ed io terreno gaio e vivo
ti accarezzo e ti regalo
tutta questa mia esistenza
e sciogliendo gli occhi
miei nei tuoi
ti offro la certezza
che quei passi dentro all’anima
sono i giorni della vita.
Io e l’angelo Premio "il Saggio" 2012
Ti ho dato da vedere
azzurri mari e prati verdi
e i colori delle notti
delle estati e degli inverni
Ti ho dato da gustare
frutti dolci e amari semi
e carezze lussuriose
e gemiti nel buio
E sorrisi di neonato
ed urla ed ossa rotte
e poi il sollievo
Ti ho dato da vedere
le ombre oscure nel mio petto
le speranze e le vittorie
e i pianti e le risate
I dolori dei miei parti
e i vagiti dei miei figli
Ti ho dato da vivere
le angosce ed i dolori
le gioie e i miei amori
e tu mi hai compensato
tingendo tutto dei colori
dello spazio e dell’eterno
Io e te, una cosa sola
e l’un l’altro ci doniamo
quei passi della vita
che completano l’arcano
Un giorno sarò io
la stessa essenza tua
e tu la mia
Avremo preso
l’un dall’altro
il percorso sulla strada
che insieme abbiam scavato
appoggiando il piede io
sui solchi della terra
con tutti i suoi profumi
e sul volo delle ali, tu
sfrangiando nubi e cieli
in spazi senza fine.
Ti ho dato da gustare
frutti dolci e amari semi
e carezze lussuriose
e gemiti nel buio
E sorrisi di neonato
ed urla ed ossa rotte
e poi il sollievo
Ti ho dato da vedere
le ombre oscure nel mio petto
le speranze e le vittorie
e i pianti e le risate
I dolori dei miei parti
e i vagiti dei miei figli
Ti ho dato da vivere
le angosce ed i dolori
le gioie e i miei amori
e tu mi hai compensato
tingendo tutto dei colori
dello spazio e dell’eterno
Io e te, una cosa sola
e l’un l’altro ci doniamo
quei passi della vita
che completano l’arcano
Un giorno sarò io
la stessa essenza tua
e tu la mia
Avremo preso
l’un dall’altro
il percorso sulla strada
che insieme abbiam scavato
appoggiando il piede io
sui solchi della terra
con tutti i suoi profumi
e sul volo delle ali, tu
sfrangiando nubi e cieli
in spazi senza fine.
venerdì 14 settembre 2012
antonio fatiga L'inafferrabile sogno. // Nene dei Sogni Non amerò più
Non ti vidi mai una sola volta,
ma infinite volte ti sognai laggiù...
tra i templi epocali d'Egitto,
tra i giochi dell'antica Grecia,
tra i giardini della Babilonia,
tra le Dantesche immagini del Paradiso.
Non voglio saper quanti anni hai...
nè quel che fai.
Tuttavia, in una notte di armonia,
è sorta l'inafferrabile idea...
accostare la luna e farla mia.
Prigioniero di un luccichio nel buio,
come un falco al di sotto dell'immenso cielo,
ascolto i segreti del vento e dimoro...
sui ricami di un mantello scuro e il miele di un cuscino.
Oh, se in questo mondo fantastico,
in codesto tempo sognato...
ci fossi anche tu.
Sarei pronto a vivere da birbante ...
nel tuo esser monella di luna.
giocare con te nel mistero dell'antichità...
miscelando gli odori e i colori della notte.
Antonio Fatiga. Diritti riservati.
Non amerò più
Non amerò mai più così
con il cuore che batte forte se solo, ti penso
il viso che si colora di rosso se le tue dita mi sfiorano,
il corpo che freme se mi attiri a te.
Mai più amerò così
come se fosse la prima volta,
aspettando alla finestra il tuo arrivo,
prendendo in mano il telefono ogni istante,
con la nostalgia di te
appena varchi la mia porta per andar via.
Non amerò più così
ascoltando il cuore e non la mente,
dando vita ai miei sensi e all'emozioni
vivendo ogni istante,
vivendoti per il tempo che sarà...
2012©tutti i diritti riservati
mercoledì 12 settembre 2012
GERMOGLIO UMANO Tre haiku di Vittorio Fioravanti
I
Rigonfio ventre
di palpiti vitali
Germoglio umano
II
D'oscura "orquídea"
l'essere partorito
s'apre al risveglio
III
Bruno mulatto
contro il cielo di luglio
frange il suo grido
Caracas, 8 luglio 2008
martedì 4 settembre 2012
Amore … Nene dei Sogni
Cos’è l'amore?
E' respirare insieme la vita
un canto di cuori che battono cercandosi alla luce della luna,
che illumina le anime innamorate.
Amore
quante frasi
quante poesie e canzoni
vissute intensamente
lacrime e sorrisi
e baci splendidi nel sole
volando sulle nuvole
giorni che passano
senza accorgersene
ricordi su ricordi
destinati a far nascere gioia
o pianto...
Amore
solitudine e malinconia
abbracciati a un cuscino
gli ultimi odori sulla stoffa
un tiepido calore
tutto riporta a te
e dire "mi manchi "
o "dove sei"
fa male all'anima
in questa notte che non finisce più...
2012©tutti i diritti riservati
E' respirare insieme la vita
un canto di cuori che battono cercandosi alla luce della luna,
che illumina le anime innamorate.
Amore
quante frasi
quante poesie e canzoni
vissute intensamente
lacrime e sorrisi
e baci splendidi nel sole
volando sulle nuvole
giorni che passano
senza accorgersene
ricordi su ricordi
destinati a far nascere gioia
o pianto...
Amore
solitudine e malinconia
abbracciati a un cuscino
gli ultimi odori sulla stoffa
un tiepido calore
tutto riporta a te
e dire "mi manchi "
o "dove sei"
fa male all'anima
in questa notte che non finisce più...
2012©tutti i diritti riservati
lunedì 3 settembre 2012
Ecco come vi AMO...
Buonanotte
Amici dell'Incanto del Vivere. A domani, con tutti nostri dolori e le
nostre gioie, i nostri scarti e le nostre essenze, i nostri strascichi
(che speriamo restino incollati al passato) e quelli che abbiamo
lietamente salutato in un tramonto d'estate. A tutti i nostri rimpianti e
a tutti i nostri momenti che in leggerezza hanno salutato l'onda
complice di un nostro dolce segreto, e a tutti noi che mestamente ci
accompagniamo in un letto solitario, ed al sogno consegniamo illusori
arcobaleni e colori veri. A tutti noi così diversi e così uguali, veri
nell'essenza, a tutti noi anime della stessa matrice, io auguro in
fraterna corrispondenza: Amore e solo Amore, comunque sia,
qualunque volto abbia, ma che sia Amor perché Egli ha un Solo ed Unico
Volto: il Volto dell'Amore che per essenza primordiale, mai potrà
Tradire. Anime pulite e di Amore temprate, Amore e Sempre Amore ad Amore
ci conduca, stanotte e dopo, e domani e all'ora dell'alba e di ogni
attimo per il Sempre!
Vi amo!
Un'Alchimia copyright by Maurizio Trapasso
Un'alchimia
la leggenda dei tuoi baci.
Ed un cielo che eccelle
in lenzuola nauseate
per sequestro di un'ambra
che indurisce il tiepido
e dritto ardore per i ricordi.
Una cattedrale
le tue dita
ed il muschio nell'equazione delle tue carezze
della quale solo tu ed io
sapevamo la formula.
Si sciolse
fino al centro del sapore
e come foglie di bandoneon
si disidratano in te,
come genuino proprietario
del mio niente
© Maurizio Trapasso - 03.09.2012
Rispondi
la leggenda dei tuoi baci.
Ed un cielo che eccelle
in lenzuola nauseate
per sequestro di un'ambra
che indurisce il tiepido
e dritto ardore per i ricordi.
Una cattedrale
le tue dita
ed il muschio nell'equazione delle tue carezze
della quale solo tu ed io
sapevamo la formula.
Si sciolse
fino al centro del sapore
e come foglie di bandoneon
si disidratano in te,
come genuino proprietario
del mio niente
© Maurizio Trapasso - 03.09.2012
G I A N M A R I A - D. in arte Antonio de Curtis -
Questii cosi infernali che condizionano così tanto la vita della gente.
Parlo in particolare dei social network. Io che ero abituato alla
piazza di paese dove ogni volta che parlava qualcuno lo potevi guardare
in faccia !
Era il 12 luglio e entrato in Face Book trovo la segnalazione del compleanno di un ex alunno: il suo diciottesimo compleanno.
Come usavo con tutti gli postai 4 righe d’auguri, sottolineando il
fatto che da quel giorno, entrato nella maggiore età, era sì più libero
di se stesso, ma ciò comportava anche un grande assunzione di
responsabilità.
Di solito rispondevano con un “mi piace” a commento o con una risposta del tipo “Grazie, Prof!”
Gianmaria volle farlo contattandomi in chat.
Mi ringraziò, facendomi anche dei complimenti.
Gli chiesi dei suoi studi, dei suoi amori, dei vecchi compagni.
Mi rispose con la franchezza che gli era solita. Ed anche con una maturità che certamente non aveva a 13 anni.
Ricordammo episodi della nostra vita comune, ridendo di certe
situazioni e chiosandone altre. Mi parlò con entusiasmo ed orgoglio
della sua vita attuale, dei suoi studi e del suo lavoro: “faceva il
trasporto di pizze col motorino”; era un po’ impegnato, però solo di
sera, ma guadagnava abbastanza da potersi pagare gli sfizi e le
necessità di un ragazzo di 17 anni.
S’era persino comprato un motorino nuovo, mi disse.
Ritrovai quella educazione, quel rispetto, quella voglia di fare da sé,
che avevo notato crescere nei 3 anni di scuola media trascorsi insieme.
Restammo a chiacchierare, chattare per quasi 2 ore. Poi si accorse che
il dovere lo chiamava da qualche altra parte. Mi disse:”Professore vi
devo lasciare, ma vi posso chiedere una cosa? Una cosa che volevo fare
da tanto tempo … “
Naturalmente gli dissi di sì
Mi rispose:”Professore, adesso ho 18 anni, vi posso chiamare una volta per nome: Mimmo ?”
“Mimmo” era il nome con cui mi chiamavano i colleghi a scuola.
Mi aveva commosso. Naturalmente gli risposi di sì.
Mi rispose: “Grazie, Mimmo! Alla prossima.” e chiuse la chat.
giovedì 30 agosto 2012
Della Madre da "Pensieri e Riflessi di Vita" copyright by Am Vezio
Ché madre fu, quella falda
acquifera che lambisce l’humus e, per le radici, lentamente si arrampica ed
espande fra le fibre del tronco per raggiungere i rami e irrorare di vita i
germogli e le foglie.
Ché madre fu, la fatica e la gloria
a superare ogni forza nemica dell’etere che gonfia ogni bolla pregna del
disegno dell’Universo, e portandola in alto, la comprime e la scoppia spargendo
ogni essenza di vita.
E fu quindi madre, a seguire e
nutrire i percorsi del tronco, dalla già più insignificante e piccola radice,
inoltrandosi fra le buie vene del legno, a salire salire, e ad ogni ferita
piangere una lacrima d’ambra, a testimonianza per i secoli a venire.
La lacrima d’ambra a catturare
frantumate onde di luce per avvolgere ed effondere, con aure di calore, il
corpo dell’albero; giovane potenza che nasce dalla Terra Madre, e da essa si
perpetua.
Della Madre da "Pensieri e Riflessi di Vita" copyright by Am Vezio2012
mercoledì 29 agosto 2012
Abbraccio d’amore copyright by Nene dei Sogni
Si apre il mio corpo
per te
come un fiore meraviglioso
su un letto di petali stellati.
Mi arrendo a te
che rubi tempo alla vita
che parli di terre lontane
di sogni e fiabe
e una lacrima dai miei occhi,
scivola via
portandosi dentro quelle immagini.
Ti amo mio amore,
nostalgia di te
già ora che sei qui con me
come sabbia scivoli via
tra le mie dita inermi.
Ti guardo
in questi lunghi silenzi
vorrei che in un abbraccio
mi raccogliessi dentro il tuo cuore,
stilla di sangue vivo
per vivere in te
per sempre...
2012©tutti i diritti riservati
per te
come un fiore meraviglioso
su un letto di petali stellati.
Mi arrendo a te
che rubi tempo alla vita
che parli di terre lontane
di sogni e fiabe
e una lacrima dai miei occhi,
scivola via
portandosi dentro quelle immagini.
Ti amo mio amore,
nostalgia di te
già ora che sei qui con me
come sabbia scivoli via
tra le mie dita inermi.
Ti guardo
in questi lunghi silenzi
vorrei che in un abbraccio
mi raccogliessi dentro il tuo cuore,
stilla di sangue vivo
per vivere in te
per sempre...
2012©tutti i diritti riservati
Immagini distorte copyright by Renato Fedi
Dune a scendere
e rivoli di sabbia gialla
cotta da un sole distruttore,
e rivoli di sabbia gialla
cotta da un sole distruttore,
si perde l’occhio
tra un vuoto d’assoluto
sfibrato dal furore dei raggi.
Ballano le onde
di calore verso il cielo
come odalische nella casbah,
mentre il vento
fruscia con voce lieve
e intona una canzone antica.
Pochi i rumori
che saltano nell’aria
a scuotere silenzi ancestrali,
crepitii soffusi
e il ronzare d’insetti
in disperata voglia d’ombra.
Passi di sahara
a prendersi il sonno,
a regalare attimi giovanili,
è il mio sogno
a volare tra i ricordi
d’immagini ormai distorte.
tra un vuoto d’assoluto
sfibrato dal furore dei raggi.
Ballano le onde
di calore verso il cielo
come odalische nella casbah,
mentre il vento
fruscia con voce lieve
e intona una canzone antica.
Pochi i rumori
che saltano nell’aria
a scuotere silenzi ancestrali,
crepitii soffusi
e il ronzare d’insetti
in disperata voglia d’ombra.
Passi di sahara
a prendersi il sonno,
a regalare attimi giovanili,
è il mio sogno
a volare tra i ricordi
d’immagini ormai distorte.
L’aratro del silenzio copyright by Lorenzo Curti
Solca le zolle della notte
Arida di stelle
Affresco senza colori.
Erose le residue energie
Disaggregati i pensieri
Vigilo sui contrafforti del buio
Dalla balaustra dei miei occhi annosi.
Accumulo sporadiche carezze
Da brezze inaspettate
Contemplo la fine d’un’altra estate
I fatui fervori arrugginiti
D’una stagione al tramonto.
Infinita marea il tempo
Secche paludi i giorni
Semi sparsi
Nei campi d’anima
Disaggregati i pensieri
Vigilo sui contrafforti del buio
Dalla balaustra dei miei occhi annosi.
Accumulo sporadiche carezze
Da brezze inaspettate
Contemplo la fine d’un’altra estate
I fatui fervori arrugginiti
D’una stagione al tramonto.
Infinita marea il tempo
Secche paludi i giorni
Semi sparsi
Nei campi d’anima
ALI DI VENTO copyright by Francesca Montomoli
Ali di vento,
immense ali o minuscole foglie
che il piede calpesta
o la mano raccoglie,
minuscole foglie o immense ali
come un gioco silente
fra dei e mortali,
frusciare di foglie
in un fruscio d’ali.
(Francesca Montomoli)
lunedì 27 agosto 2012
Fabrizio ed.1985 copyright by Am Vezio
Dove sei, amico caro
col tuo affetto largo, baia dei miei dispiaceri
infinito azzurro, dei miei momenti di gloria.
Dove sei.
Mi vedo appoggiare l’anima a te
dentro il tuo sguardo, nella sua profondità
buttare le ansie e le paure
le angosce e le tensioni,
e guardare nei tuoi occhi la mia gioia
e sapere, amico caro
che mentre io vivo tu stai vivendo con me
Dove sei, amico caro
dove sono baia e infinito azzurro
dov’è lo sguardo, pozzo e specchio
dell’anima mia?
Dov’è il pane che si univa e si divideva
dov’è l’amicizia che ci affamava e saziava.
Dove sei, amico caro?
Nella baia ho buttato i dispiaceri
e dell’infinito azzurro è rimasta una scia
d’aeroplano
dove le mie grida di gioia diventano sussurro.
Niente canti e armonie nella volta celeste
niente onde impetuose e sabbia pungente
nella baia
Cosa è rimasto?
Dove sei amico mio, amico caro
nei tuoi occhi non c’è più uno specchio per me
e nemmeno una profondità dove annegare le ansie.
Tra di noi una fascia di deserto
che spegne il canto
a volte, il vento bisbiglia appena
la tua voce
ora allegra ora un singhiozzo
e se ti cerco con lo sguardo
il riverbero m’impedisce di vedere i tuoi occhi
Sei lontano
E tu per me
ed io per te
siamo sussurri nell’infinito azzurro
Siamo aride baie dove il mare stenta ad arrivare
niente cori e armonie nell’aria
le nostre note sono singhiozzi solitari.
Sete Di Vita di Maurizio Trapasso
In estasi i tuoi trifogli, le tue tuberose e gelsomini,
gli uccelli di aprile vanno al paradiso,
sono grilli quelli che pettinano violini con permesso,
si escludono per il viaggio le gemme e scarpini.
L'oscura chiarezza entra ai tuoi confini,
abbaglia nel tuo cotone l'oro del tuo ricciolo
che culla nelle sue tenerezze la notte con incantesimo,
si ascolta in dolce sogno cantare a serafino.
Assente nel concerto spingi il ciglio
ed occulti i turchesi festivi della tua aurora,
traversina collochi corona alla montagna.
Aperta la tua ciliegia si alza seduttrice
e calma la nostra sete di vita nella tua capanna.
Presenti e lontani in astro che si ignora.
© Maurizio Trapasso - 30.06.2012
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gli uccelli di aprile vanno al paradiso,
sono grilli quelli che pettinano violini con permesso,
si escludono per il viaggio le gemme e scarpini.
L'oscura chiarezza entra ai tuoi confini,
abbaglia nel tuo cotone l'oro del tuo ricciolo
che culla nelle sue tenerezze la notte con incantesimo,
si ascolta in dolce sogno cantare a serafino.
Assente nel concerto spingi il ciglio
ed occulti i turchesi festivi della tua aurora,
traversina collochi corona alla montagna.
Aperta la tua ciliegia si alza seduttrice
e calma la nostra sete di vita nella tua capanna.
Presenti e lontani in astro che si ignora.
© Maurizio Trapasso - 30.06.2012
Pelle di seta Nene dei sogni 2012©tutti i diritti riservati
Come seta
la mia pelle
scivola su te,
sensuali brividi
nei tuoi occhi appena dischiusi.
Carezze sempre piu intense,
la lingua scorre
raccogliendo gocce di noi,
le tue mani morbide
prima dolci
poi sempre più padrone di me.
Calore
nei nostri corpi uniti
abbandonati,
senza riserve.
Tra i raggi del sole
fare l'amore,
scoprirci,
respirandoci...
2012©tutti i diritti riservati
Come seta
la mia pelle
scivola su te,
la mia pelle
scivola su te,
sensuali brividi
nei tuoi occhi appena dischiusi.
Carezze sempre piu intense,
la lingua scorre
raccogliendo gocce di noi,
le tue mani morbide
prima dolci
poi sempre più padrone di me.
Calore
nei nostri corpi uniti
abbandonati,
senza riserve.
Tra i raggi del sole
fare l'amore,
scoprirci,
respirandoci...
2012©tutti i diritti riservati
nei tuoi occhi appena dischiusi.
Carezze sempre piu intense,
la lingua scorre
raccogliendo gocce di noi,
le tue mani morbide
prima dolci
poi sempre più padrone di me.
Calore
nei nostri corpi uniti
abbandonati,
senza riserve.
Tra i raggi del sole
fare l'amore,
scoprirci,
respirandoci...
2012©tutti i diritti riservati
sabato 25 agosto 2012
Alla porta il vento copyright by Am Vezio
Un colpo alla porta
che si gonfia e batte,
con timore m’accosto
“chi c’è nella mia casa
che da una stanza all’altra
vuole andare”
Leggera sulle punte
dei piedi miei
mi sposto
e l’orecchio appoggio
sulla porta che respira
si muove e mi riporta
di una mano un colpo
L’apro,
lentamente scosto
la maniglia e l’anta
che la voce sua riporta
di legno colorata
Il vento,
il vento bussa alla mia porta.
venerdì 10 agosto 2012
Luna rossa (E' la notte delle stelle, mi fa piacere onorarne la "madre")
Ogni elemento
rispettoso ammutolisce,
le sue vesti
nascostamente sfiora
al suo passaggio
E’ profumo di ginestre fresche
e di giglio appen’aperto
l’alito di vento che l’avvolge
Ogni elemento tace
tutt’a un tratto è silenzio
Di cicale non v’è più
audace strepitare
né di grilli s’ode il cantare
Solo lucciole abbracciate
convoglian luce sul suo passo
E’ il silenzio della notte
che l’alone mistico accompagna
della luna rossa al suo apparire.
ed. "Scrivere" 2012 copyright by Am Annamaria Vezio
rispettoso ammutolisce,
le sue vesti
nascostamente sfiora
al suo passaggio
E’ profumo di ginestre fresche
e di giglio appen’aperto
l’alito di vento che l’avvolge
Ogni elemento tace
tutt’a un tratto è silenzio
Di cicale non v’è più
audace strepitare
né di grilli s’ode il cantare
Solo lucciole abbracciate
convoglian luce sul suo passo
E’ il silenzio della notte
che l’alone mistico accompagna
della luna rossa al suo apparire.
ed. "Scrivere" 2012 copyright by Am Annamaria Vezio
mercoledì 8 agosto 2012
Isthar da "Anime senza ali" ed. 2012 copyright by Am Vezio
Dal morso
della pesca
succulento
liquido dolce scende
Sull’onda del seno
disegna
la morbida curva del piacere
È estasi il momento
che
sulla pelle del dito s’imprime
Scivola
sulla linea del collo
e
sull’incavo dei fianchi si ferma
Si aprono le mani
come ali di aquila
vorace
e nel nido di caldo bagnato
trovano riposo
e morte
felice.
(Isthar: dea asiatica corrispondente a Venere dei Romani,
Afrodite dei greci)
succulento
liquido dolce scende
Sull’onda del seno
disegna
la morbida curva del piacere
È estasi il momento
che sulla pelle del dito s’imprime
Scivola
sulla linea del collo
e sull’incavo dei fianchi si ferma
Si aprono le mani
come ali di aquila vorace
e nel nido di caldo bagnato
trovano riposo
e morte felice.
(Isthar: dea asiatica corrispondente a Venere dei Romani, Afrodite dei greci)
martedì 7 agosto 2012
lunedì 6 agosto 2012
Tenera
notte amici miei, che le sue dita accarezzino la vostra anima e la
sorreggano con leggerezza domani, nelle onde del sole che verrà a
illuminare il giorno e i suoi nodi da sciogliere. Che ogni nodo sia
sciolto, inizi nel silenzio dell'ora buona e amica del cielo buio e si
espanda nel cielo terso del mattino col suo sorriso. Buon sorriso al
giorno che viene amici miei, estensione del mio oggi.
Vi voglio bene!
venerdì 3 agosto 2012
Treno di notte Francesco Ferro
Nel silenzio della notte
corro verso l’ignoto,
lasciando alle mie spalle
un arido tramonto.
La mia strada è obbligata
da due rette parallele,
una strada che porta
alla destinazione e al destino
scelto da altri.
Corro, corro veloce sbuffando,
porto idee e speranze
verso un destino da compiere,
corro lontano da chi vigliaccamente
cerca di stuprare la mia vita.
....era il 2 agosto 1980
corro verso l’ignoto,
lasciando alle mie spalle
un arido tramonto.
La mia strada è obbligata
da due rette parallele,
una strada che porta
alla destinazione e al destino
scelto da altri.
Corro, corro veloce sbuffando,
porto idee e speranze
verso un destino da compiere,
corro lontano da chi vigliaccamente
cerca di stuprare la mia vita.
....era il 2 agosto 1980
giovedì 2 agosto 2012
Stasera by am vezio ed. 2002
Stasera l’aria
è così dolce e piacevole,
è il suo movimento
che è respiro sulla pelle umida
Mi sento bene
come un bimbo seduto su un divano
accanto alla sua mamma
e come bimbo ho lo stupore
della vita
la perplessità
Stasera
sono un bimbo perplesso
che guarda la vita
la mia
La trama
è una mancanza di tempo
un orologio più veloce
nello scandire il tempo
Il mio tempo
è una scena lenta e muta
con un tic tac vorticoso
Fluttuo in un eterno e non riesco
ad afferrare la mia vita che corre
corre
Vivo un attimo che fluttua
anch’esso con me
ed ecco scompare
La gravità mi penalizza,
capisco che quell’attimo
era vita reale
So che c’era
volteggiava con me
ma
quando è caduto nella vita
si è perso
e non sono riuscita a riconoscerlo.
domenica 15 luglio 2012
"Sto bene" ed. 2012 copyright by Am Vezio pubbl. Scrivere
Pagine e pagine scritte
di mille colori l'inchiostro
Dipinta
la copertina
da pennelli intrisi nell'iride
Bianco è il foglio nuovo
senza desiderio alcuno
di vergare parole
Sto bene.
sabato 14 luglio 2012
Shhh, silenzio ed. 2012 copyright by Am Vezio
Cosa vuoi che dica l’infinito
quando deve ingurgitare
l’attimo finito
Cosa vuoi che dicano parole
il cielo e le sue stelle
Son bocche lassù cucite
attaccate al manto nero
né tremolano né dicono
e più non san vibrare
Per pudore
ogni elemento tace
non osa risvegliar la mente
da sopita audacia,
da sofferta pace
Shhh, silenzio.
Isthar ed. 2012 copyright by Am vezio
Dal morso della pesca
succulento
liquido dolce scende
Sull’onda del seno
disegna
la morbida curva del piacere
È estasi il momento
che sulla pelle del dito s’imprime
Scivola
sulla linea del collo
e sull’incavo dei fianchi si ferma
Si aprono le mani
come ali di aquila vorace
e nel nido di caldo bagnato
trovano riposo
e morte felice.
(Isthar: dea asiatica
corrispondente a Venere dei Romani, Afrodite dei greci)
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a respirare
a vivere i miei battiti,
vedere come accelera
quando il pensiero vola da te
e nella mia mente rivedo il tuo viso
sento i tuoi baci,
le tue carezze...
Lo vedresti mentre si stringe
per non piangere,
quando tu sei lontano
e la mia immaginazione
corre su altri binari,
sentiresti la gioia
nel godere del tuo corpo caldo
entrare in me
unirsi in attimi infiniti,
mentre il tuo nome
esce in un soffio
diventa bacio
sulle nostre labbra
che si cercano.
Prova a entrare in questo cuore
tanto piccolo,
ma immenso per accoglierti
con tutto l'amore che ho...
Nenè